Il dibattito sulla nuova denominazione del ministero dell’Istruzione e del Merito di Giuseppe Valditara è approdato anche a Otto e mezzo, il programma di Lilli Gruber, che nella serata di lunedì 24 ottobre ha chiesto un parere ai suoi ospiti: l’immunologa Antonella Viola e i giornalisti Francesco Specchia (Libero), Marco Travaglio (direttore del Fatto Quotidiano) e Massimo Giannini (direttore della Stampa).
Ad aprire sul tema è Antonella Viola, che dichiara: “La meritocrazia applicata alla scuola a me non piace. Ovvio che se stiamo parlando di merito dei professori, questo è un altro discorso. Parlare di merito va bene per gli adulti, per il personale sanitario, ma di certo non per i bambini, che non vanno inseriti in una logica di premi e punizioni. La scuola deve essere accogliente, non selettiva. Vi immaginate parlare di merito in una scuola primaria con un tasso di dispersione scolastica che nel nostro Paese tocca punte del 16%?” Le dà ragione Massimo Giannini: “Che cos’è la scuola? Il luogo nel quale un bambino o un ragazzo diventa un cittadino, il luogo di una crescita civile e sociale e questo passaggio deve riguardare tutti quanti: è chiaro che i più bravi avranno voti più alti ma non c’è bisogno di metterlo nella denominazione di un ministero. Se lo si è fatto – continua il direttore della Stampa – è perché si è voluto banalmente rimarcare una specificità ideologica con la quale la destra vuole dimostrare al suo elettorato qualcosa, paccottiglia autarchica e nostalgica, che vagamente rievoca il ventennio, cose simboliche che fanno ridere, è l’Italietta”.
Francesco Specchia, al contrario, in difesa del Governo controbatte: “Non hanno fatto altro che prendere una dicitura della Costituzione, che all’articolo 34 sul diritto allo studio parla proprio di merito, e aggiungerla a Istruzione: è la nostra Costituzione” niente di eversivo. “Connotazione identitaria per la quale non c’è nulla di male”.
A nostro parere un po’ una forzatura del senso dell’articolo della Costituzione, dato che esso intende sottolineare l’uguaglianza di opportunità e l’esigenza che chi si impegni possa andare avanti anche senza disponibilità finanziarie; in un’ottica di inclusione, quindi, di certo non di selezione. Leggiamo sulla nostra Carta, infatti, che La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
“Nessuno priverà i bambini del diritto allo studio – rassicura il giornalista di Libero – si dice semplicemente che i più bravi andranno avanti, non andranno avanti le capre”.
E ancora Antonella Viola lo contesta: “A me non piace che di un bambino si dica che è una capra, mi va benissimo dirlo di un mio collega ma non di un bambino”.
Al dibattito si aggiunge la voce di Marco Travaglio che minimizza la questione, interpretandola, più che in termini ideologici, come “un segno di debolezza del Governo, che non avendo potuto cambiare le facce, cambia le parole, per potere dare una parvenza di novità ai propri elettori”.
“Il merito? Se quella parola merito significherà che nella scuola di Meloni verranno discriminati i bambini somari ci ribelleremo tutti, perché la scuola è di tutti e deve curarsi di tutti; ma se significherà solo che si spingono gli studenti a prendere dei buoni vuoti non fa nulla, il merito è insito nella scuola. Sottolinearlo sai che significa? La coscienza della Meloni di non essere riuscita a cambiare niente a livello di facce e quindi per dare ai suoi elettori la parvenza di cambiamento cambia qualche parolina”. Cambiare tutto per non cambiare niente, insomma, si commenta in studio.