Sulla questione della nuova denominazione del Ministero abbiamo chiesto a Irene Manzi, responsabile scuola del PD, di dirci cosa ne pensa.
La scelta di aggiungere alla definizione del Ministero dell’Istruzione la parola merito ha aperto una rosa di prese di posizione e, soprattutto, di controdeduzioni. Le seconde devo dire abbastanza superficiali e discutibili.
Perché, secondo lei, si tratta di posizioni e argomentazioni discutibili?
Perché partono dall’errata contrapposizione tra chi sarebbe favorevole al merito e chi no. Ma non è questo in discussione.
E allora qual è il punto?
Il tema è un altro. A che serve il nome di un Ministero? La risposta è che il nome deve far comprendere quale obiettivo si persegue, ad esempio. Perché aggiungere allora quella parola?
Appunto, e lei che risposta si è data?
Credo che sia stato fatto per marcare una posizione che peraltro è nota. Ed è, da sempre, una battaglia politica della destra. Quella di volere una scuola che “finalmente valorizzi quelli bravi” invece di quella della sinistra sessantottina che vorrebbe il “sei” politico ed un generale livellamento al ribasso.
E non è così?
Questa è solo leggenda metropolitana che si autoalimenta e che diventa oggi un forzoso orpello propagandistico nella testata del Ministero. Un orpello che, nei fatti, potrà rivelarsi inutile, o, al contrario, dannoso. Per noi la scuola è quella che aveva in testa don Milani. Diversa per ciascuno per produrre uguaglianza. E quindi concentrata sul ridurre le disparità alla nascita, sull’aiutare chi ha più bisogno di aiuto. Per contrastare le diseguaglianze e le disparità territoriali e non solo. Si tratta di priorità. E come la destra fa il suo nello sventolare le bandiere (anche se sarebbe preferibile con atti di indirizzo e di governo più che con cambi di denominazione) a noi spetta il compito di dire che la pensiamo diversamente e che proponiamo altro. E di essere credibili e coinvolgenti nel farlo.
A lei che nome piacerebbe?
Mi piacerebbe che si parlasse di un Ministero delle politiche educative e dell’emancipazione, ad esempio.
Per fare cosa?
Non ho dubbi: per rimuovere gli ostacoli che oggi impediscono ai talenti di fiorire e che condannano chi ha difficoltà all’espulsione scolastica con l’aggiunta anche di un senso di colpa per la propria presunta inadeguatezza a un modello dominante. Noi siamo per la cultura della differenza. E siamo per il superamento di un’ossessione prestazionalista e competitiva che, a nostro giudizio, rischia spesso di essere concausa delle difficoltà emergenti.
E qual è la vostra proposta?
Siamo per un’educazione al benessere e al ben stare all’interno dell’ambiente scolastico per tutti coloro che di quella comunità fanno parte. E su questo dovremmo incalzare il Ministro nelle prossime settimane. Così come lo incalzeremo sulle promesse che i suoi compagni di partito hanno fatto, ad esempio, ai tanti precari della scuola. Perché vogliamo superare le definizioni ed entrare nel merito. E perché pensiamo che “le parole sono importanti”.
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