Si moltiplicano le prese di posizione sulla nuova denominazione del Ministero. Una delle ultime è quella della segreteria nazionale del Movimento di Cooperazione educativa.
Il nuovo nome – scrive il MCE in un documento diffuso in queste ore – chiarisce bene “l’orizzonte che si profila per la scuola e le direzioni dell’impegno politico e pedagogico e della lotta di quanti lavorano quotidianamente per una Scuola della Costituzione in condizioni difficili, in edifici non a norma, bloccati dalla burocrazia ipertrofica, con la riduzione del tempo scuola, la precarietà delle risorse umane, la logica dei bandi, le continue riforme”.
“La caduta delle ideologie nelle società tardo capitaliste – aggiunge ancora il MCE – ha fatto spazio ad una nuova e più seducente narrazione: quella del merito. Sono anni che in sordina, ma nemmeno tanto, l’ideologia del merito è diventata parte integrante del discorso pubblico sulla scuola”.
In realtà – aggiunge la segretaria nazionale Anna D’Auria – questa “novità” era nell’aria già da tempo: “Aveva cominciato la Gelmini nel 2008 reintroducendo il voto nella scuola del primo ciclo; poi è stata la volta della Buona scuola con la premialità per gli insegnanti. Lungo la stessa traiettoria siamo da poco arrivati al docente esperto”.
“Ma ora – prosegue – il salto è netto: le politiche regressive iniziate negli anni ’90 sono all’attracco in un Ministero dell’istruzione e Merito che intende legittimare anche formalmente nel sistema scolastico italiano lo spirito concorrenziale e competitivo tipico delle società neoliberiste”.
“Se la Costituzione ha stabilito 8 anni di obbligo, poi diventati 10, è perché – ricorda infine il Movimento – compito della scuola è mettere ogni soggetto nelle condizioni di apprendere, di imparare a pensare e imparare a vivere insieme. L’unico merito che qui trova legittimazione costituzionale è quello che andrebbe riconosciuto a un Ministero capace di garantire al sistema d’istruzione le condizioni strutturali e pedagogiche affinché insegnanti e dirigenti possano lavorare per rimuovere gli ostacoli assumendo l’impegno di lavorare sulle diversità, di tener conto degli stili di apprendimento, delle intelligenze, dei tempi di ognuno/a, dei particolari bisogni formativi”.
Sembra quasi – sostiene il MCE – di essere di fronte ad una sorta di “naturalizzazione delle disuguaglianze”.
“E così sono proprio i soggetti discriminati che facendo precocemente esperienza di esclusione, di insuccesso formativo, e privi delle competenze per una cittadinanza critica e attiva, si rendono ‘funzionali’ al sistema”.
A questo punto, secondo il Movimento, “è urgente che insegnanti, associazioni democratiche e progressiste del Paese mettano in campo strumenti adeguati per far sì che, nonostante la deriva a cui probabilmente assisteremo, si continui da un lato a lavorare con impegno per una scuola che elabori un discorso adatto a contrastare i luoghi comuni regressivi che la politica potrebbe imporre alla scuola e, dall’altro, promuova e organizzi una lotta politica in grado di contrastare ogni intervento teso a impedire uguaglianza e giustizia tra classi sociali”.
Bisogna insomma tornare ai grandi maestri del passato (Freinet, Lodi, Manzi, Ciari, Milani, Alfieri, Ridolfi) che “si sono ‘sporcati le mani’ per far crescere un progetto educativo che era un tutt’uno con una chiara visione politica, un’utopia forse, ma capace di creare movimento”.