Come abbiamo scritto, ieri, 11 novembre, è stato il primo anniversario della morte della 22enne Giulia Cecchettin, ormai diventata simbolo della lotta alla violenza contro le donne e contro la cultura patriarcale e maschilista. C’è stata una polemica in merito al modo con cui la ragazza è stata ricordata nelle scuole e nelle Università.
In molti hanno deciso di fare un minuto di rumore, invece del classico minuto di silenzio che si osserva per commemorare qualcuno che non c’è più. Questo dopo l’invito della sorella di Giulia dell’anno scorso, che ha chiesto di “fare rumore” per la giovane, di “bruciare tutto”. “Non fate un minuto di silenzio per Giulia, ma bruciate tutto e dico questo in senso ideale per far sì che il caso di Giulia sia finalmente l’ultimo, ora serve una sorta di rivoluzione culturale”.
Il 21 novembre 2023 le scuole hanno osservato un momento di silenzio, o di rumore, per ricordare la giovane. A distanza di un anno il liceo in cui ha studiato la ragazza, Padova, ha fatto sapere che sarebbe meglio fare silenzio, e non rumore in suo onore, perché “è necessario interiorizzare questo evento, rielaborare un anno di riflessioni, dibattiti, esternazioni”.
Da qui una polemica: gli studenti vorrebbero fare rumore per Giulia e non credono che il silenzio possa essere una soluzione. “Ben 17 classi hanno trasgredito a questo ordine e adesso stiamo organizzando qualche forma di protesta per i prossimi giorni”, annuncia Viola Carollo, della rete degli studenti medi del Veneto, come riporta La Repubblica.
“Non c’è una presa di responsabilità da parte dell’educatore, che sembra non aver compreso il senso di un anno di dibattiti. La matrice è molto chiara: non si vuole usare la parola patriarcato”, aggiunge.
Anche alcuni docenti sono perplessi: “Giulia era mia alunna, tutto ciò che si può fare per lei è sempre troppo poco”, dice un’insegnante di Storia e Filosofia. “Vorrei capire la ragione di questo divieto, che non ha alcuna logica. Parlerò con i ragazzi”.
Come riporta La Stampa, gli studenti hanno chiesto il permesso di fare il minuto di rumore ai docenti, che hanno acconsentito. “Le scuole non devono essere soltanto luoghi di istruzione nozionistica”, dice una studentessa del liceo.
Nel frattempo il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, ieri a Mestre per presentare il suo libro, ha detto: “Massimo rispetto per quello che fanno le scuole, non entro nel merito”.
Ma come funziona il minuto di rumore? Ci si accorda con l’istituto per un orario in cui deve suonare la campanella e, da quel momento, per un minuto, tutti gli studenti iniziano a fare rumore sbattendo sui tavoli chiavi, borracce, penne, righelli. Ieri mattina, a poche centinaia di metri dal liceo l’Università di Padova ha deciso di ricordare proprio con il rumore di tante studentesse e tanti studenti la sua laureanda massacrata a coltellate.
Ma perché si fa di solito un minuto di silenzio per commemorare i defunti o comunque in segno di lutto? E perché storicamente è legato proprio al giorno 11 novembre? Come riporta Avvenire, tutto è nato alla fine della Prima guerra mondiale. L’8 maggio 1919 Edward George Honey, giornalista australiano che lavorava a Londra, scrisse una lettera al quotidiano English News proponendo una commemorazione adeguata del primo anniversario dell’armistizio, che poneva fine alla Grande Guerra, e che era stato firmato l’11 novembre 1918.
Allora, propose, dato che si trattava dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese, la commemorazione avrebbe potuto svolgersi alle ore 11 di quel giorno e quel mese. E proponeva le modalità del rito: “Cinque minuti soltanto”- Una vera cerimonia, un rito che consentiva a ogni uomo, credente o meno, di entrare in comunione con i morti per la patria, nel ricordo.
Grazie a una successiva proposta re Giorgio V la rese operante, e l’11 novembre 1919 ebbe luogo. Cinque minuti parevano troppi, uno, troppo poco. Si scelse il tempo di due minuti.
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