Valutare gli insegnanti per premiare i più bravi con accelerazioni della carriera e riconoscimenti nello stipendio è il tema che ultimamente ha focalizzato l’attenzione di molti fuori e dentro la scuola.
Visto che l’innalzamento generalizzato dei salari provocherebbe una vera rivoluzione nel Bilancio dello Stato in tempi in cui si vuole far dimagrire tutta la Pubblica Amministrazione, selezionare alcuni eletti (quanti? come?) sembra essere una buona soluzione per mandare un segnale di interesse verso la scuola, di cambiamento e modernità, di indicazione di una via di scampo in un comparto al collasso.
Se questo è l’assunto, nulla di più facile che affidarsi a metodi di valutazione di assai concreto utilizzo: i risultati delle Prove Invalsi. Un criterio non solo discutibile ma che escluderebbe a priori l’intero popolo di docenti della scuola dell’infanzia.
Gli insegnanti, professionisti dell’apprendimento, sanno bene che la valutazione finale è l’ultima fase di un processo che inizia con l’analisi della situazione di partenza, prosegue con la definizione degli obiettivi e con la loro verifica, si conclude con la valutazione sia individuale dell’alunno che del processo messo in atto.
Nulla di più sacro nella scuola che, per sua natura, aspira al miglioramento di se stessa e delle proprie performance di fronte alla realtà che evolve.
Il congelamento degli stipendi che già in partenza li pongono al 17esimo posto in una graduatoria di 23 Paesi europei, accompagnato da interventi draconiani su tutti i fronti e che proseguono in modo inesorabile, senza ripensamento alcuno, anzi, inaspriti da una fredda scientificità (taglio organici, FIS, retribuzione dei dirigenti scolastici, soppressione di massa di istituzioni scolastiche, riduzione dei servizi), ha accresciuto lo sconforto degli insegnanti che ora ci si accinge a rimotivare attraverso una competizione banalmente meritocratica. È lo stravolgimento dei principi della docimologia, è il ridurre il lavoro degli insegnanti a una catena di montaggio dove il “pezzo” da costruire è l’alunno.
Solo che, nella scuola, la qualità del “pezzo” in uscita è il prodotto di molti fattori alcuni dei quali del tutto indipendenti dalla bravura di chi li tratta.
Poter fare affidamento su una struttura organizzativa solida e stabile, su una strumentazione aggiornata e funzionale, su norme chiare e certe che non costringano a micidiali acrobazie burocratiche per evitare ricorsi e denunce, su un circuito di attribuzione di responsabilità meno liquido, su una serie di supporti professionali tempestivi e validi, su un sistema di empowerment che ravvivi le risorse umane, con una radicale e culturale inversione di tendenza rispetto all’attuale sistema gerarchico e ai centralismi di tutti i tipi che anche le politiche sindacali hanno contribuito a rafforzare, diffondere e legittimare, rappresentano le variabili di contesto irrinunciabili e il motore di una ripresa in cui i “bravi” insegnanti troverebbero spazio per compiti e azioni orientati all’eccellenza a favore di tutta la scuola.
In un sistema valutativo per punti, bilanciato un forte peso potrebbe, per esempio, essere assegnato a indicatori quali la capacità di lavorare in gruppo, l’apporto dato alla leadership della propria scuola, la capacità di inoltrarsi nel modello riflessivo della professione, la capacità di pensare alla propria scuola secondo un’ottica prospettica che esprima valori, programmi, attenzioni.
La qualità dei risultati risiede in una combinazione di elementi e il processamento delle loro reciproche relazioni produce fattori di conoscenza e modelli di funzionamento, rigenera talenti e potenziale formativo.
Il problema della qualità dell’istruzione (non è di questo che stiamo parlando?) implica una concezione dinamica delle procedure d’azione, delle relazioni, del ruolo degli attori, in cui l’agire formativo non è il regno esclusivo della razionalità tecnica governato da soggetti esterni in grado di misurare ma non di valutare.
Come si intenda procedere è, invece, piuttosto oscuro. Si intuisce solo che si va nel senso di una restaurazione dello status quo ante autonomia che è proprio la condizione che ha permesso alla scuola di sopravvivere nella tempesta che l’ha colpita e attraversata.
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