In un paesino etneo, a Biancamarina, il cui nome sembra uscito da una favola, avvengono, all’interno di famiglie ufficialmente irreprensibili, accadimenti che hanno del morboso e per certi versi pure dell’efferato.
Due storie, unite dal borgo che fa da sfondo, si intrecciano con fatti di cronaca: l’uno ricordando l’affondamento di una petroliera e l’altro richiama la strage di Ustica. Nel primo, la morte del comandante della nave dà l’avvio alla storia, o meglio, causa l’intreccio dentro cui si incontrano personaggi instabili nella loro coscienza, dediti a tenere sempre carica la corda pazza; nell’altro Ustica è la rievocazione ricorrente di uno psicologo dalla vita irrequieta e dagli amori variegati che però racconta la sua storia in prima persona, nonostante compaiano, come flashback, le narrazioni cucite attorno a uno straccione vagabondo, tale Petralia, e a sua figlia, bella e vacua, mentre lentamente si va infiammando l’eros compresso e negato dalle lunghe assenze della moglie del comandate della nave.
Spasimi sensuali con turbamenti anche incestuosi nei confronti del figlio, a sua volta innamorato della giovane figlia di Petralia. Nascondimenti della coscienza e sovvertimenti dell’animo, segnati dalla profezia malefica del pezzente che però un’aurea di mistero circonda. Questo il contenuto in grandi linee del nuovo romanzo di Lucio Paolo Alfonso, “Tremenda profezia”, Robin Editore, in cui tuttavia prevale lo scavo psicologico dei personaggi sulla storia, complessa e burrascosa, dove però a dominare è sempre l’io narrante dell’autore o del personaggio principale.
Col suo stile sobrio e misurato, Alfonso sembra avere trovato il filone a lui più coerente, quello della presunzione di un amore assoluto che possa lenire delusioni e affanni. La ricerca di una passione in cui l’Io si possa annullare per ritrovarsi trasfigurato: un pio desio che l’autore sa non avere sbocchi, come d’altra parte i suoi personaggi rappresentano.
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