“Resta di stucco, è un barbatrucco”: stavolta l’algoritmo impazzito non c’entra ma una “strana manina” che trasforma i posti nella scuola da “inesistenti” ad “assegnabili” grazie alla “surroga” del Ministero all’ufficio scolastico provinciale (surroga=normalmente si “sostituisce” il mutuo senza dover effettuare la cancellazione della vecchia ipoteca e senza conseguente nuova iscrizione ipotecaria).
Avviene cioè questo. Il posto sul tavolo è sempre lo stesso ma si presta al gioco delle tre carte con un unico “perdente”: l’aspirante docente senza protezione.
Normalmente la surroga è bilaterale: in questo caso, prevede “un posto da assegnare” da parte del Ministero, grazie al Sistema Informatico nel quale sono stati inseriti i dati dell’organico di diritto (quelli di fatto ancora vagano come “fantasmi” e per di più “virtuali”), un “aspirante docente” (per la mobilità sia territoriale che professionale) ed il dirigente scolastico.
Nello specifico però la surroga da “bilaterale” diviene “trilaterale”: il Miur è “sostituito” dall’Ufficio scolastico provinciale che in accordo con il dirigente scolastico “surroga” il posto dall’organico di diritto alle nuove immissioni in ruolo da concorso o da Gae, secondo la “raccomandazione” più forte, “creando” virtualmente nuovi posti che, in pratica, sono i “vecchi posti” di docenti che vorrebbero (avendo i requisiti) andare in pensione.
Ma il “nuovo” posto è “riveduto e corretto” grazie alla complicità di un impiegato (di cui non si conoscerà mai il nome se non grazie alle indagini di polizia e dei Carabinieri) dell’Inps che, con il funzionario dell’Ufficio scolastico provinciale, prima ha “negato” la pensione ad un docente pur in possesso di tutti i requisiti (con la scusa che non sussistono) e poi, grazie al lavoro del funzionario dell’USP, che ha già notificato agli aspiranti alla mobilità che “i posti non ci sono”, provvede ad assegnare proprio “il vecchio posto” al neo immesso “favorito”(resterà un mistero se da Gae o da concorso): proprio quello del vecchio docente che deve andare in pensione perché finalmente il primo settembre apprende di non dover più lavorare poiché la sua domanda poteva essere accettata.
Certo, una scuola che non sa “contare” (i mesi di lavoro del vecchio docente aspirante alla pensione) fa impressione e non è certo “una buona scuola” ma che importa: quello che conta è il risultato.
Il dirigente scolastico appresa la disponibilità dei nuovi posti, chiama, nell’ambito, “il neo immesso preferito” e lo fa “suo” nella scuola, almeno per tre anni, poi si vedrà.
Se, ovviamente, il docente che ha chiesto la mobilità territoriale o professionale resta a “bocca asciutta” perché non può controllare, tanto meglio: la colpa (ufficialmente) sarà sempre di chi, un paio di anni fa, ha detto di voler lavorare dovunque pur di lavorare e che oggi, invece, protesta contro un algoritmo che si dice “impazzito”.
Il che, per carità, può anche essere vero ma di certo, quanto sta accadendo in queste settimane, conosce soltanto quella umana di pazzia: la follia di quei poveri pazzi dei docenti che, non fanno causa o non presentano denunce, ed ancora vogliono credere in una scuola che sappia “contare” i mesi di lavoro di 40 anni di serio servizio, in qualunque ordine e grado, per qualunque materia, vecchia o “nuova” classe di concorso.
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