I lettori ci scrivono

Mobilità: la beffa per… una lettera e due numeri

Carissimi amici de “ La Tecnica della Scuola”,


sono una docente di materie umanistiche in servizio in provincia di Trapani. Sono entrata in ruolo nel 2016 in Friuli Venezia Giulia dopo una procedura selettiva articolata e complessa. Tengo porre a voi una delle ultime “beffe” subite: quest’anno ho presentato due domande per la mobilità. Una per quella territoriale ed un’altra per quella professionale.

Quest’ultima è stata annullata dall’Usp di Trapani perché nella documentazione ho dimenticato di inserire una lettera e due numeri per indicare la classe di concorso ulteriore in cui sono abilitata dal 2015, anche qui a seguito di procedura selettiva (TFA). Prontamente lo stesso giorno della notifica di esclusione invio la documentazione che attesta il possesso dei titoli ma il mio reclamo non viene accolto perché “avrei omesso” l’informazione di cui sopra (da diversi anni allego sempre gli stessi documenti alla domanda di mobilità). In tal modo hanno dimezzato le mie possibilità di fare rientro nella mia provincia di residenza… per una lettera e 2 numeri.

A tal punto, mi sono chiesta in questi giorni se la burocrazia in Italia si sia ridotta ad osservare il dito che indica la luna e non la luna stessa.
Non ho fatto dichiarazioni mendaci, io posseggo i titoli e nonostante ciò il prossimo anno vedrò cattedre coperte attingendo dalle Mad o altro. Insegnanti senza specifica abilitazione messi ad insegnare una disciplina perchè… non ci sono professori abilitati! Sono stata anche io precaria e non ho assolutamente nulla contro i miei colleghi che spero siano stabilizzati al più presto con i fatti e non solo a parole da campagna elettorale.

Mi chiedo se sia civile e democratico risolvere una questione che interessa un numero certamente ampio di cittadini, ledendo il diritto di un gruppo di cittadini altrettanto ampio, se sia ragionevole in una situazione difficile come quella che stiamo vivendo e che la Scuola italiana sta vivendo peccare di buonsenso ed incaponirsi in posizioni sterili, quando si potrebbe in maniera semplice e concreta risolvere situazioni banali come quella di cui le ho parlato sopra e soprattutto vi e mi chiedo da cittadina se sia ancora il caso di credere nella parola “meritocrazia” in un’Italia dove sembra che ottieni il massimo profitto col minimo rendimento.

Maria Grazia Monteleone

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