Sono un docente interessato da alcuni anni al passaggio di ruolo. Ancora una volta la doccia fredda, nonostante l’estate, è stata dolorosa: di posti ce ne sono pochissimi, l’anno prossimo saranno ancora meno (prossimi allo 0) e sembra che l’Amministrazione, centrale e locale, su pressioni del sindacato, faccia di tutto per riservare più posti possibili per supplenze e immissioni in ruolo.
Ma cosa si offre ai precari? Un posto fisso, o almeno annuale così da alimentare la speranza che prima o poi “si entra”?
Sinceramente se fossi un giovane di 20 o 30 anni lascerei perdere la scuola e proverei strade più gratificanti nelle quali c’è maggiore riconoscimento della professionalità.
La verità è che un sistema in cui non c’è mobilità verticale e non ha meccanismi strutturali (cioè non legati alla discrezionalità di qualcuno) per far emergere il vero merito del professionista riflessivo capace di apprendere continuamente è un sistema che non ha per vero fine la qualità dei risultati e la produttiva gestione delle risorse.
Non me ne vogliano i colleghi supplenti (che considero vittime di questo sistema) ma il nesso tra precarizzazione del personale docente – che è strutturale e non sarà affatto risolta con le immissioni in ruolo – e immobilità professionale non è casuale. La precarizzazione è funzionale a creare una classe docente debole, squalificata agli occhi dell’opinione pubblica, ricattabile sul piano dei contratti e del potere dirigenziale, sensibile a piccoli “premi” in prossimità delle elezioni.
La precarizzazione ovviamente incide negativamente anche sulla qualità della scuola, perché evidentemente in qualche misura diventa precari a la stessa organizzazione della didattica.
In sintesi, una scuola che non seleziona e non alimenta sufficientemente il merito sia in chi insegna sia in chi apprende. E sicuramente farà anche comodo a qualcuno che l’ignoranza delle masse aumenti. La seconda connessione dell’immobilità professionale nella scuola è con il fenomeno degli “esperti esterni”.
Una miriade di costosi progetti, per i quali si stipulano in ogni scuola vari contratti. Eppure, se andiamo a vedere sul campo, ci accorgiamo che quella stessa competenza valutata come necessaria (non sempre lo è, ma facciamo finta di sì) è posseduta dal docente in servizio nella stessa scuola, o magari in scuole vicine. Docenti che o vengono dissuasi o vengono direttamente ignorati (sebbene la legge sulla P.A. del 2001 preveda il contrario). Così capita di conoscere colleghi che oltre a conoscere la propria disciplina sono musicisti, artisti, atleti, informatici, psicologi e tante altre cose, ma non hanno mai potuto “spenderle” nella vita professionale.
Al massimo come una sorta di volontariato mistificato da un compenso ridicolo giustificato dall’ideale del servizio, mentre fondi ingenti vanno nelle tasche di chi è un VERO professionista.
Ovviamente scelto il più delle volte in modo sostanzialmente discrezionale e senza alcun controllo oggettivo sul risultato dell’intervento.
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