Nella scuola il 2016 si chiude com’era cominciata: con le proteste per la mobilità coatta che si è abbattuta su una parte dei docenti assunti dopo la Legge 107/15.
Stavolta a scendere in piazza – contro l’algoritmo ministeriale che ha decretato gli spostamenti su ambiti territoriali e la chiamata diretta – è toccato ad alcune centinaia di docenti, in quattro diverse città, per iniziativa del movimento ‘Nastrini Rossi’, che da qualche giorno ha ripreso le sue rivendicazioni (per il riavvicinamento a casa dei prof trasferiti) rivolgendosi direttamente al nuovo ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli.
Una delle quattro città era Pescara, dove gli insegnanti hanno esposto uno striscione con sopra la scritta: “Tutti i docenti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Perché?”.
La domanda provocatoria è derivata, hanno spiegato i manifestanti, da una “mobilità obbligata imposta dalla ‘Buona scuola’ agli insegnanti stabilizzati con cattedre al Nord”.
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Scrive l’Ansa che “quattro gruppi di docenti, in piazza della Rinascita, hanno rappresentato simbolicamente la riforma, con le sue quattro fasi, tra cui la fase ‘B’ e quella ‘C’, le “due più disgraziate”. Poi lo striscione e, per concludere, palloncini rossi liberati in cielo.
“Chiediamo parità di diritti tra gli insegnanti – hanno detto i promotori dell’iniziativa – Noi siamo stati discriminati, siamo l’unico gruppo costretto alla mobilità. Le nostre sedi sono tutte al Nord e saremo bloccati lì per tre anni, quando qui, magari, abbiamo una famiglia e un mutuo da pagare. Siamo persone con un’età media di 40 anni e dieci anni di precariato alle spalle. Si parla di modificare la 107: lo si faccia partendo dalle nostre esigenze, perché la parità dei diritti è venuta meno. Parità di trattamento vuol dire mobilità volontaria”, hanno concluso i manifestanti.
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