Mentre 45mila docenti della primaria “tremano”, in attesa di conoscere dove l’algoritmo del Miur li collocherà, la Banca d’Italia pubblica un interessante focus.
Lo studio, condotto da due economisti, Francesco D’Amuri e Cristina Giorgiantonio, riguarda gli sprechi ed è incentrato sulla “distribuzione dei dipendenti pubblici in Italia”. Quindi, sui tanti “squilibri” che permangono nella mappa dei dipendenti pubblici, con uffici, soprattutto al Centro-Sud, dove per ottenere gli stessi risultati si impiegano più risorse di personale.
In particolare, analizzando le notizie che arrivano dai servizi anagrafici dei Comuni risulta “l’esistenza di scostamenti significativi dalla relazione media tra input – ore lavorate – e output – servizi erogati – con dotazioni di personale maggiori nel Centro-Sud e dove il livello di disoccupazione è più elevato”.
Ora, se la fascia dei Municipi appartenente al 25% di quelli meno efficienti contenesse il divario di produttività, riagganciando i livelli degli altri, “si verificherebbe una riduzione delle ore lavorate totali pari al 7,6% (33% nei Comuni interessati)”.
Sin qui, comunque, nulla di nuovo, perché sono indicazioni connaturate e note purtroppo da decenni. È interessante, però, leggere che tra le sacche di improduttività che non riescono a essere aggredite, figuri pure l’impossibilità “di trasferire i travet dove ce ne è bisogno”: per la Banca d’Italia è un processo che “ancora incontra troppi ostacoli”.
Gli economisti concludono questo capitolo ricordando che il livello di mobilità dei dipendenti pubblici è “generalmente ridotto”. Dei passi avanti sono stati fatti però, riconosce lo studio, con gli ultimi provvedimenti del Governo, pur se le “incertezze” e le cronicità restano.
Ora, viene da chiedersi, come mai la scuola debba rappresentare l’eccezione di questo sistema. Come mai, nella fase B del piano straordinario di assunzioni siano state collocate lontano dalla provincia di appartenenza, circa il 90% di neo-immessi in ruolo?
E come mai, dai processi dell’algoritmo del Miur sugli ambiti territoriali della scuola dell’infanzia, risulta che tanti docenti sono stati trasferiti a centinaia di chilometri da casa? E molti più della primaria, si presume, faranno la stessa fine?
Ora, è vero che le regole del “gioco”, della mobilità della scuola, sono diverse dagli altri comparti. Come è vero che il Miur non ha obbligato nessuno a trasferirsi di regione. Tanto che qualche decine di migliaia di docenti abilitati sono rimasti nelle GaE e non hanno accettato l’assunzione prevista dalla Buona Scuola per non rischiare il trasferimento lontano da casa.
È altrettanto vero, però, che sarebbe l’ora di finirla con il dire che gli insegnanti sono favoriti, hanno stipendi ragguardevoli se rapportati al tempo profuso e che hanno tre mesi di ferie l’anno. È giunto il momento farla finita con certi luoghi comuni. Per dare spazio alla verità: fatta di insegnanti, anche 50enni e oltre, spediti da un algoritmo a cento, anche mille, chilometri da casa. Mentre gli altri dipendenti pubblici, pure in soprannumero, non si riescono a trasferire.
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