Molte persone, a diverso titolo, si sentono autorizzate a pontificare sulla scuola, pensando di possedere le ricette per farla funzionare meglio. Al contrario, l’ambito educativo è uno dei settori umani di maggiore complessità a causa delle tantissime variabili che sono in gioco.
Sui vari media si parla spesso male della scuola italiana, si presentano sistemi scolastici di altri Paesi, portandoli ad esempio. In questi ultimi tempi è di moda parlare della scuola finlandese, è presa a modello perché nei confronti internazionali sui risultati scolastici (PIRLS, TIMMS; PISA), la Finlandia risulta essere ai primi posti e davanti all’Italia. Ma se andiamo ad analizzare bene i risultati di queste indagini internazionali, le cose non sono così evidenti.
L’indagine internazionale PIRLS 2016, condotta in 50 Paesi a livello mondiale, misura la competenza in lettura dei bambini frequentanti il quarto anno di scolarità. L’Italia ha un buon punteggio è al 17° posto, prima di Germania e Francia. Le regioni italiane del Nord hanno un punteggio che porterebbe l’Italia all’8° posto, praticamente appaiata alla Finlandia.
Nell’Indagine internazionale TIMSS del 2019, che valuta le competenze in matematica negli alunni del quarto anno di scolarità, l’Italia è allo stesso livello della Germania e davanti alla Francia. Se andiamo a vedere solo i punteggi del Nord Italia, saremmo più avanti, vicini alla Finlandia. Sempre nell’indagine internazionale TIMSS del 2019, effettuata con gli alunni dell’ottavo anno di scolarità, l’Italia è davanti a Francia e Germania, il punteggio delle regione italiane del Nord è migliore di quello della Finlandia.
Se analizziamo i risultati dell’indagine PISA 2018, relativa alle competenze in lettura, promossa dall’OCSE, che ha interessato gli studenti quindicenni di 80 Paesi, il punteggio del Nord Est Italia è molto vicino al punteggio della Finlandia. Sempre nell’indagine PISA, relativa alla matematica, le regioni italiane del Nord Est e del Nord Ovest hanno un punteggio maggiore di quello della Finlandia.
Quindi, potremmo portare ad esempio, il “modello del Nord Italia”.
La cosa inaccettabile è che all’interno del nostro Paese ci siano tali disparità che sono dovute, essenzialmente, alle differenze di risorse, di strutture, di situazioni sociali.
A conferma di ciò, i dati del ministero (MIUR, 2018-19), indicano che nell’a.s. 2018/19, nelle scuole statali italiane, la percentuale media di alunni con DSA è stata pari al 4,7%, ma nel Nord Ovest ne abbiamo il 7,3% , nel Sud il 2,4% . Al Sud, non sono più fortunati perché hanno una percentuale molto più bassa di alunni con DSA, semplicemente non hanno le risorse adeguate, le strutture per effettuare gli screening e le conseguenti diagnosi.
Quindi, in prima istanza, cerchiamo di rendere più omogeneo il nostro sistema scolastico, è un’operazione di giustizia sociale che contribuirà significativamente anche al rilancio della regioni del Sud.
Naturalmente, congiuntamente, si devono sperimentare nuovi modelli di organizzazione del sistema scolastico, nuove metodologie. Però, per poter dire se un nuovo modello di istruzione o una metodologia funzioni è assolutamente necessario avere delle evidenze scientifiche, valutarne gli effetti, in termini più specifici: la grandezza dell’effetto (effect size), prendendo anche a riferimento il paradigma dell’Evidence Based Education. Nel nostro Paese si fanno spesso sperimentazioni inadeguate, si presentano delle opinioni come dei fatti oggettivi, siamo ancora, troppo spesso, nel campo della autoreferenzialità. Quindi è necessario cambiare metodo.
D’altra parte, i nostri futuri docenti frequentano la facoltà di “Scienze della formazione”, non di “Opinioni sulla formazione”.
Edoardo Virgili
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