In questi giorni la vicenda del collaboratore scolastico assolto dall’accusa di molestie nei confronti di un’alunna è al centro dell’opinione pubblica. In molti hanno criticato pesantemente la decisione dei giudici, che hanno stabilito che non si è trattato di vera e propria molestia in quanto “il palpeggiamento sarebbe durato solo pochi secondi”.
A commentare la faccenda è stata la scrittrice e opinionista Michela Murgia nelle sue storie Instagram, che l’ha paragonata ad un’altra vicenda, ossia l’accusa di violenza sessuale nei confronti di uno dei figli del presidente del Senato Ignazio La Russa, che sta avendo molta risonanza mediatica. “Fatto accaduto nelle scorse ore di cui la cronaca si è occupata meno”, ha scritto la Murgia.
“Questa storia e quella del figlio di La Russa sono collegate da un tema, quello del consenso. Anche se non si tratta di stupro, ma di molestia, il caso del bidello è molto più grave dal punto di vista giudiziario e culturale. La ragazzina, minorenne, aveva fatto tutto ciò che ti dicono di fare: denuncia, bella nostra, che lo Stato ti proteggerà. Il caso è gia sentenziato, non stiamo parlando di ‘lasciamo lavorare i giudici’. Hanno lavorato. Il fatto denunciato era vero. Il bidello le ha effettivamente infilato la mano nelle mutande e i giudici ne hanno preso atto. Lui viene assolto in quanto non ha agito “con concupiscenza”, cioè con desiderio. L’intenzione che viene presa in considerazione non è quella della ragazza, ma del bidello. L’intenzione che conta dovrebbe essere quella della ragazza, che è la vittima proprio perché ha subito le intenzioni altrui senza che nessuno le chiedesse le sue”, ha puntualizzato la scrittrice e attivista.
“La molestia, lo stupro, la violenza sessuale non sono mai atti di puro desiderio. Sono atti di potere. Gli uomini li fanno perché possono farli, non solo perché vogliono. E sono atti che avvengono sempre in condizioni di dislivello di potere. Il bidello, infatti, non ha molestato la dirigente scolastica. Il principio dell’abuso di potere è che il consenso dell’altra persona non conta niente e viene ignorato. Invece che considerare cosa lei volesse, i giudici hanno valutato cosa lui voleva e non voleva. Come glielo dite domani a vostra figlia che deve denunciare perché lo Stato la proteggerà?”, ha concluso, durissima.
Ovviamente la sentenza sta suscitando la reazione da parte di genitori, studenti e personale scolastico. Molti commentano di non essere d’accordo completamente, scrivendo che “non importano i secondi, ma l’intenzione di voler molestare una ragazzina”.
Anche la Rete degli Studenti Medi ha voluto lanciare un messaggio: “Siamo indignati dalla motivazione della sentenza di nuovo una molestia non viene riconosciuta in quanto tale per una motivazione assurda, sta volta addirittura in virtù della sua durata. Vogliamo sentirci sicure in ogni luogo, e in particolare a scuola che dovrebbe insegnare a riconoscere e abbattere le violenze di genere e le discriminazioni, invece ancora una volta questo non succede, e anzi gli edifici scolastici diventano teatro di molestie neppure riconosciute e punite”.
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