Controrispondo alla lettera “Parlando di scuola, cerchiamo di evitare i luoghi comuni” di Daniele Ferro, essa stessa risposta alla mia lettera “La scuola è in declino e non tornerà più alle antiche glorie”, a sua volta redatta sulla base dell’articolo “Il problema dell’Italia è l’istruzione?” basato sui dati Ocse riguardanti lo status dell’istruzione in Italia.
Chiarisco innanzi tutto al lettore Ferro che io parlo di studenti delle scuole superiori (liceo in primis), cui ho insegnato fino alla pensione. Quegli studenti non pochi dei quali, usciti dalla scuola dell’obbligo, non conoscono il significato di vocaboli alquanto comuni o non sanno l’ordine delle lettere nell’alfabeto o scrivono roba tipo “bel uomo” o “ce né” e simili.
Il maestro Ferro dice di “interrogarsi sui motivi e sul senso di una scuola dell’obbligo che boccia”. Beh, lo dice la parola stessa: “obbligo”. Cioè l’obbligo, morale e sociale, di apprendere contenuti che serviranno poi per vivere nel consorzio umano.
Sostiene poi che “nella lettera non si chiarisce quali siano le «regole rigorose»”. Si, è vero: non le ho specificate. Provvedo subito: le regole rigorose – e rigorosamente applicate – erano per esempio il 7 di condotta con tutte le materie a settembre o il 6 di condotta con la bocciatura, regole la cui abolizione ha permesso che oggi si possano quasi impunemente insultare ed aggredire gli insegnanti, occupare e danneggiare le scuole senza sostanzialmente rischiare più di tanto.
Osservazione: il docente elementare in oggetto sostiene che “i bambini la disciplina se la danno da soli, se dinanzi a sé hanno adulti che li comprendono, li educano e li motivano a desiderare”. I bambini forse sì (non ho mai insegnato ai bambini e quindi non posso saperlo), ma per gli adolescenti delle scuole superiori purtroppo non sempre funziona così.
Un’ultima osservazione: il rapporto Ocse su cui si basa l’articolo “Il problema dell’Italia è l’istruzione?” riporta anche una riflessione che nel detto articolo non compare: “la scuola italiana sembra poco incline a considerare i doveri e invece molto incline a dare spazio alle lamentele”.
Daniele Orla