Ancora oggi nel mondo 775 milioni di persone non sanno leggere né scrivere, due terzi sono donne e 122 milioni sono giovani. Il Papa ha definito l’analfabetismo come uno dei “maggiori freni allo sviluppo umano” e una forma di “morte sociale”. A Radio vaticana è stato intervistato mons. Aldo Martini, presidente dell’Opam (Opera di Promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo).
“L’alfabetizzazione”, per il cardinale Martini, “non è soltanto una capacità di leggere, scrivere e contare, ma è soprattutto un diritto umano fondamentale, come è stato riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Il diritto all’alfabetizzazione è il “padre” di tutti gli altri diritti della persona. L’istruzione è lo strumento base per lo sviluppo e per la promozione della persona umana, perché la rende capace di un pensiero critico, la rende capace di integrarsi nelle società in cui vive, la rende capace di fare delle scelte, di conoscere i propri diritti e i propri doveri e quindi di partecipare attivamente alla vita politica del proprio Paese.”
Inoltre, aggiunge Martini, le altissime cifre sull’analfabetismo “vanno prese un po’ con le molle, perché secondo me sono anche calcolate per difetto, in quanto in molti Paesi non esiste un’anagrafe o esiste con molte difficoltà: molti milioni di persone non vengono riconosciute come cittadini di uno Stato, molti ragazzi che vanno a scuola si iscrivono e poi spariscono, quindi c’è un abbandono scolastico molto forte. Quello che si nota è che l’indice più basso si trova nei Paesi dell’Africa subshariana e nell’Asia occidentale e meridionale. Ora, la maggior parte degli adulti analfabeti è concentrata in 10 Paesi: in primo luogo la Repubblica democratica del Congo, poi il Brasile, l’Indonesia, l’Egitto, l’Etiopia, la Nigeria, il Bangladesh, il Pakistan, la Cina, l’India”.
“Noi cerchiamo” ha continuato il cardinale, “di dare le priorità soprattutto all’istruzione delle donne, perché sono il fattore essenziale di sviluppo e progresso di un Paese. Cerchiamo di motivare i genitori a non escludere le bambine dalla scuola: molto spesso i genitori preferiscono mandare a scuola un maschio, mentre le bambine vengono tenute a casa per mantenere il livello di occupazione della famiglia, oppure vengono date in sposa in età molto giovane – 12/13 anni – per cui c’è tutta un’opera di convincimento presso le famiglie.”
Per quanto riguarda i progetti dell’Opam, “nel nostro piccolo” ha continuato Martini ”individuiamo delle aree, lavorando in collaborazione stretta con le diocesi: chiediamo sempre quali sono i progetti che dal basso vengono richiesti, in modo particolare lavorando nelle zone più remote (dove spesso non sono presenti organizzazioni internazionali grandi), soprattutto nelle zone dell’Africa Equatoriale. Creiamo piccole scuole e diamo la possibilità di avere insegnanti, perché bisogna che ci siano insegnanti formati e motivati. Ci sono scuole in certi Paesi con un numero di alunni per classe che oscilla tra i 100/160; quindi, noi cerchiamo di dare una scuola che sia a misura d’uomo. Poi, cerchiamo di instillare, soprattutto nelle famiglie e nei genitori, i valori della scuola perché spesso i genitori di fronte ad una scuola di qualità scadente preferiscono mandare i propri figli a lavorare nei campi.”
E alla domanda se si riuscirà, secondo gli obiettivi delle Nazioni Unite, a garantire l’istruzione primaria a tutti i bambini entro il 2015, Martini risponde: “Purtroppo questo è un tasto dolente, perché questi obiettivi del millennio si spostano tutti gli anni più avanti. Sono sempre meno realisticamente raggiungibili, in modo particolare in questo momento, a causa anche della crisi internazionale. Per cui gli aiuti promessi dai Paesi sono approvati, ma poi non vengono materialmente erogati.” Il legame invece tra alfabetizzazione e pace deriva dal fatto che “Dove non c’è pace c’è poca istruzione; dove manca l’istruzione è più facile che scoppino dei conflitti: pensiamo che il 40% di bambini non scolarizzati vive in Paesi dove ci sono conflitti. Noi lanciamo un appello in questa giornata: “Aiutateci a seminare la pace attraverso la scuola”. Il primo nome con cui un bambino impara a scrivere la parola “Pace” è il proprio nome.”
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