Prima lo emarginano, poi lo cacciano, perché è “troppo grave”: è l’ennesima storia “finita male” tra la scuola e l’autismo. Una mamma esasperata racconta, in una lettera inviata al portale “Pernoiautistici”, dalla discriminazione subita da suo figlio, per l’incapacità e forse anche incompetenza di chi dovrebbe favorirne l’inclusione. Ma che, per mancanza di formazione o di sensibilità, finisce per escluderlo.
La lettera è in prima persona, a nome del ragazzo. “Sono Vittorio e ho 12 anni. Sono speciale, molto speciale. Non parlo, ma ho voglia di essere ascoltato da tutti perché ho tante cose da dire. La gente presta orecchio solo alle parole pronunciate e troppo spesso non ha voglia di leggere nel mio cuore, nei miei occhi o nei miei silenzi”.
“Quest’anno ho cominciato la prima media o meglio: l’ho già finita, perché la scuola per me è iniziata il 14 settembre ed è finita il 23. Ho frequentato in tutto 14 ore. Che fortuna diranno in tanti! Invece no, perché io non voglio restare a casa e mi piace la compagnia degli altri bambini. Sono stato catapultato in un posto che non conoscevo, con insegnanti nuove, impreparate e poco disponibili ad accogliermi e a trattare con la mia malattia, che è l’autismo. Diciamolo chiaramente: uno come me non è il benvenuto a scuola. Ho difficoltà ad apprendere, e non lo faccio dai libri, come tutti. Io imparo e parlo attraverso l’uso di simboli ed immagini, che bisogna conoscere ed utilizzare costantemente”.
Continua ancora la lettera scritta da questa mamma coraggiosa ma sfiduciata: “Le parole dette in una lezione normale si sommano come suoni vuoti e fastidiosi, in un crescendo di tensione che ad un certo punto non reggo più, perché senza le immagini, io non capisco. Vorrei scappare via”.
E’ accaduto così che, giusto all’inizio dell’anno scolastico, Vittorio abbia perso la pazienza e abbia lanciato una sedia, “per farti capire”. Tanto è bastato perché fosse allontanato dalla classe e spedito, da quel giorno in poi, “in un’ auletta da solo, con persone che non vedevo più come insegnanti, ma carceriere”. Non l’ha presa bene, Vittorio: “All’arrivo a scuola, vedevo i miei compagni di classe andare in aula tutti insieme ed io da solo in un’altra stanza. Giorno dopo giorno ci sono venuto sempre meno volentieri, senza il mio solito sorriso e comprendendo chiaramente che le persone adulte non mi volevano”.
Il 23 settembre è “esploso”, come accade spesso ai ragazzi con autismo, quando non si trova il modo e la strada per arrivare al loro cervello e al loro cuore: in quell’auletta, ha dato un morso alla sua insegnante di sostegno. “E’ successo il finimondo. La mia mamma è stata chiamata d’urgenza. Mi ha trovato in aula professori spaventatissimo, da solo; tutto il corpo insegnante intorno alla professoressa che si scaraventava su di lei dicendole “Guarda che cosa mi ha fatto tuo figlio!!” La mamma mi ha portato via e mi ha abbracciato forte. Poi riunioni, parole, scuse e promesse: la scuola non è preparata a casi così gravi”.
Così ora Vittorio sta a casa e la sua mamma è triste, preoccupata, delusa.
“Ma io sono sempre andato a scuola ed ero ben inserito con i miei compagni e maestre. Alla scuola media sapevano da mesi che sono un bambino autistico. Si erano fatte mille raccomandazioni sulle modalità comunicative da utilizzare con me, suggeriti corsi da fare, consegnate relazioni specifiche su come imparare a conoscermi. Nessuno è preparato o ha voglia di prepararsi. Non hanno fatto nulla”.
“È l’ennesima storia di incompetenza. I miei educatori vengono “morsicati” anche loro, ma sanno perché succede e lavorano col bambino, la scuola e la famiglia perché non succeda più. Non vanno certo in infortunio per questo. È conseguenza di una ‘scelta’ di lavoro!”.
Del caso sarebbe stata informata il ministero dell’Istruzione: per ora, nessuna risposta.