Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino. Un evento che, come fu giustamente detto, non fu solo raccontato dai giornalisti, ma fu almeno in parte causato dai giornalisti.
Un muro alto appena 3 metri e mezzo e lungo solo 155 km – molto meno di tante altre fortificazioni anche antiche – che rappresentò però la ferita più profonda e dolorosa di un secolo caratterizzato da confini e divisioni. Il muro metteva a confronto e al contempo divideva inesorabilmente due blocchi inconciliabili, due visioni del mondo. Eppure la sua caduta, dopo 29 anni di tensione terrore, avvenne quasi per caso e per fortuna senza spargimento di sangue. Uno di quei rarissimi momenti in cui la storia si mette a correre senza travolgere i suoi protagonisti.
Certamente la DDR (la Repubblica democratica tedesca) era in crisi ormai da diversi anni e negli ultimi mesi le proteste erano aumentate a tal punto da spingere il 18 ottobre il leader Eric Honecker alle dimissioni. Per cercare di placare gli animi il gruppo dirigente (il Politburo) organizzò il 9 novembre una conferenza stampa per annunciare una serie di nuove riforme. La DDR organizzava eventi pomposi in cui abbondavano i cerimoniali, ma scarseggiavano i contenuti. I giornalisti erano pronti ad affrontare un evento particolarmente noioso alla ricerca di poche informazioni utili che avrebbero potuto scrivere la mattina dopo.
E invece si trovarono di fronte a un evento che in un clima surreale di calma stava cambiando il mondo. Günter Schabowski, il funzionario incaricato di rispondere alle domande dei giornalisti, incalzato dal corrispondente italiano Riccardo Ehrman inviato dell’ANSA, ammise che erano state redatte nuove regole per il transito dei cittadini dell’Est verso Ovest. Leggendo alcuni fogli che aveva sul tavolo confermò che i cittadini della DDR potevano uscire dai confini.
Ab sofort, da subito. Subissato di domande in un crescente brusio ed evidentemente preso dal panico, Schabowski aggiunse che tutti i cittadini avrebbero potuto attraversare il confine, anche a Berlino, ammettendo implicitamente che il muro era caduto. Un annuncio storico, fatto per sbaglio, visto che il funzionario aveva letto frettolosamente, senza conoscerne il contenuto, una parte della documentazione che sarebbe dovuta entrare il giorno successivo e che prevedeva comunque una regolamentazione più stretta e complessa per passare ad Ovest.
Una rivoluzione silenziosa che, dopo la trasmissione della conferenza stampa, portò in piazza decine di migliaia di giovani ansiosi di passare il muro. Un incidente diplomatico che sarebbe potuto sfociare nel sangue se non fosse stata per la lungimiranza di alcune guardie di confine, come Harald Jäger, e dei vertici dell’Unione Sovietica guidata all’epoca di Michail Gorbačëv, che evitarono reazioni armate da parte dell’esercito e degli apparati degli stati sovietici.
I mesi successivi furono segnati da eventi politici di grande spessore, come il processo di riunificazione delle Germania, e da momenti terrificanti, come la scoperta degli archivi della Stasi, l’organizzazione per lo spionaggio della DDR che raggelò il mondo, svelando uno degli aspetti più inquietanti di quel regime. Tuttavia, anche questi eventi infausti non riuscirono a soffocare la bellezza di quel 9 novembre, della felicità di quei ragazzi che coraggiosamente sfidarono con sorrisi e baci un confine solo apparentemente invalicabile.
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