Home Attualità Mutuo insegnamento vs lezione frontale: una vecchia questione

Mutuo insegnamento vs lezione frontale: una vecchia questione [INTERVISTA A DANIELE NOVARA]

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In che modo i ragazzi imparano meglio e di più?
Con una bella lezione dell’insegnante o lavorando in modo cooperativo fra di loro?
La ricerca pedagogica ha dato da tempo la sua risposta (è meglio il lavoro cooperativo), ma ci sono ancora tanti docenti che sono convinti del contrario.
Ne parliamo con il pedagogista Daniele Novara, direttore del Centro Psicopedagogico di Piacenza.

Questa domanda ci fa entrare nel cuore della storia della pedagogia perché la risposta è stata data più di 2 secoli fa da Jean Jacques Rousseau, fondatore della pedagogia moderna. Dopo di lui ci hanno pensato Pestalozzi, Dewey e la Montessori a confermare le sue intuizioni. Ma in Italia siamo spesso ancora fermi a Giovanni Gentile che è stato un grande grande fautore della scuola cattedratica, tutta centrata sulla trasmissione dei contenuti da parte del docente.
Il fatto è che ormai anche le neuroscienze ci dicono in modo chiaro che i tempi di attenzione durante l’ascolto di una lezione sono bassissimi e non stiamo parlando dei bambini piccoli che arrivano al massimo 5-10 minuti ma di persone sufficientemente adulte che magari prendono anche gli appunti.

E quindi?

E quindi la risposta è chiara: bisogna fare leva sui metodi esperienziali ideati e messi a punto dai migliori maestri della scuola attiva, a partire da Cousinet e Freinet per arrivare anche a don Lorenzo Milani.

Molti docenti però obiettano che vorrebbero vedere all’opera i tanti pedagogisti che parlano di scuola attiva in una classe con 25 e più alunni, molti dei quali con problemi e difficoltà di vario genere.

E’ una obiezione molto diffusa, ma forse bisognerebbe ricordare che molti pedagogisti sono stati anche insegnanti; io stesso sono ho lavorato come docente in condizioni molto estreme; quando ero molto giovane ero titolare in una scuola di alfabetizzazione presso un ospedale psichiatrico. Ricordo anche esperienze con bambini Rom e Sinti, senza dimenticare le esperienze di doposcuola con bambini in condizioni sociali di grande disagio.
Certo è che ci vogliono le condizioni giuste, ma devo dire che sulla base delle esperienze che seguo da decenni, nelle classi che fanno riferimento al mio metodo si registrano buoni risultati.
D’altronde è la stessa intelligenza artificiale che potrebbe dare il colpo definitivo alla retorica della “bella lezione” e dell’insegnamento come “trasmissione di conoscenze”.

Va tutto bene, ma resta il fatto che, soprattutto nella secondaria di secondo grado, i docenti sono ancora molto convinti che la “lezione” è la miglior tecnica didattica.

Questo accade perché la cultura italiana è ancora molto legata al modello idealistico, il modello gentiliano è ancora dominante in modo trasversale, a destra e a sinistra.

Nella scuola dell’infanzia nessun insegnante si sognerebbe di “fare lezione”, eppure i bambini e le bambine imparano. Ma allora perché i docenti della secondaria non prendono esempio?

L’idea è legittima e la condivido perché quello che si impara nei primi 6 anni ti resta addosso tutta la vita al punto che chi non ha frequentato una scuola dell’infanzia incontra qualche difficoltà in più nel proprio percorso scolastico successivo. Ma allora sarebbe necessario pensare anche a una formazione diversa per tutti i docenti, evitando anche il processo di secondarizzazione della scuola primaria al quale si sta assistendo da un po’ di anni a questa parte.
Con i fondi europei abbiamo invaso le scuole di dispositivi digitali, forse avremmo fatto meglio ad investire sulla formazione dei docenti.

Il vostro Centro Psico pedagogico lavora molto su questo terreno e mi pare che a fine agosto avete in programma un importante convegno on line.

Sì, e lo abbiamo intitolato proprio A scuola si impara dai compagni! Come insegnanti ed educatori favoriscono il processo di mutuo insegnamento”
Si tratta di
un convegno di servizio, pratico e operativo con idee per una scuola che sappia allearsi con i bisogni profondi degli alunni e delle alunne nell’orizzonte di un apprendimento liberatorio che valorizzi il saper stare con gli altri.
Contiamo di dare un aiuto concreto a tutti quei docenti che si pongono qualche dubbio sulla efficacia della lezione e del metodo trasmissivo e che vogliono mettersi in gioco e affrontare in modo innovativo il rapporto con l’insegnamento e con i ragazzi del XXI secolo.