La notizia dell’avvio del primo liceo artigianale in Italia potrebbe sembrare una contraddizione: da sempre, infatti, il liceo è sinonimo di anteprima universitaria.
Cosa c’entra, infatti, l’acquisizione dei tradizionali studi teorici con la presa in carico delle competenze che portano direttamente al lavoro manuale? Non vogliamo entrare nel merito delle scelte che hanno condotto il dirigente scolastico lombardo a promuovere il corso, né di quelle che hanno portato l’Ufficio scolastico regionale della Lombardia a darne il via libera.
Quello su cui vogliamo soffermarci è che l’operazione ha tutta l’aria di rappresentare un’altra “spallata” ai corsi professionali dello Stato: quegli istituti, contro cui alcuni esponenti della scuola cominciano a mettere in dubbio il mantenimento in vita, in primis per lasciare il “campo libero” ai Centri di formazione professionale. E l’affollamento di scuole finalizzate al lavoro (nella lista ci sono pure i tecnici), non sembra proprio fare bene alla loro sopravvivenza.
Su tutti, ricordiamo quanto ha detto di recente l’ex vice ministro dell’Istruzione Valentina Aprea, oggi assessore alla Cultura della Lombardia, secondo cui l’esperienza dei professionali (e dei suoi 60mila docenti che rischierebbero di perdere la titolarità) sarebbe giunta al capolinea. Ora, il fatto che il primo liceo artigianale italiana nasca a Como, nella regione capofila dei Cfp e apertamente contro i professionali statali, forse, non è proprio un caso.
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