Oggi soprattutto nei social, ma anche a livello mediatico, parole come fascista e nazista sembrano del tutto decontestualizzate dal significato storico. Nell’ultima settimana la parola più usata è “patriarcato”, fino al giorno prima una delle più desuete del vocabolario, tanto che alcuni giornali hanno sentito il bisogno di dare una spiegazione.
Il termine fascista è stato il primo ad essere affibbiato a destra e a manca come un insulto slegato dal significato storico, ma equivalente più o meno a antidemocratico, prevaricatore, violento. Insomma con una connotazione di metodo e non di merito. Il Dizionario di Italiano Sabatini Coletti tiene conto di questa evoluzione e riporta entrambi i significati, quello storico “Chi aderì al fascismo; chi si ispira alla dottrina del fascismo” e quello estensivo “Chi interpreta i rapporti sociali come rapporti di forza e quindi con prepotenza e intolleranza”, oggi prevalente nel linguaggio parlato e nei social. Nell’ultimo anno, le accuse di fascismo sono state molteplici e incrociate: la sinistra chiama fascisti i meloniani, ma anche certi liberali tipo Capezzone, a cui alla Sapienza di Roma hanno impedito di presentare un libro. La destra reagisce parlando del “fascismo degli antifascisti”, scagliandosi contro una sinistra violenta e illiberale. Insomma un corto circuito apparentemente illogico, ma segno dei tempi in rapida evoluzione linguistica grazie ai social.
Quanto al termine nazista, da un paio d’anni esso pure ha assunto il senso estensivo-spregiativo di “Persona dai modi prepotenti o che approva e applica metodi crudeli e spietati”, diverso da quello specifico storico di “Seguace del nazionalsocialismo, partito fondato da Hitler” e relativa ideologia fondata sulla superiorità della razza ariana.
Dapprima il dibattito si è focalizzato con toni molto accesi sui nazisti ucraini del battaglione Azov, che, oltre a praticare metodi violenti, mostravano anche una simbologia tipica della Germania nazista come la runa Wolfsangel. Uno degli obiettivi dichiarati dalla Russia con l’invasione del 24 febbraio 2022 era appunto quello della “denazificazione” dell’Ucraina. Dopo l’inizio della guerra, nella stampa occidentale c’è stato però un tentativo mediatico di fare una specie di operazione pulizia dell’immagine di questi gruppi, per renderli non indigesti all’opinione pubblica, come ci spiega in un ampio articolo la rivista Micromega. Per esempio con le famose interviste in cui i comandanti di Azov dichiarano di non essere nazisti, di leggere Kant e di combattere per la libertà.
Adesso molti si scandalizzano di quello che sembra il paradosso dei paradossi: l’aggettivo nazista viene affibbiato a Netanyahu, primo ministro di Israele. Il binomio è frequentissimo nei social. Il riferimento evidentemente è all’enorme numero di morti fatti a Gaza, specialmente bambini, nella guerra contro Hamas condotta con metodi che non tengono conto del diritto umanitario internazionale. Per questo alcuni parlano di “sterminio o genocidio”, la correlazione col nazismo viene di conseguenza.
Ultimamente non si fa che parlare di patriarcato, come modello sociale talmente negativo da portare allo stupro e all’omicidio di stato. La violenza, in questo caso delle parole, e lo stigma associato al termine hanno portato molti uomini a chiedere scusa di essere maschi. Ma cosa sarà mai il patriarcato? In molti hanno sentito il bisogno di definire e spiegare, i più hanno ripetuto all’infinito la parola, diventata etichetta di un contenuto di tendenza senza perimetro di significato.
Il solito Sabatini Coletti, ci spiega che, in senso antropologico, è un “sistema sociale che si basa sull’autorità del più anziano dei discendenti maschili”, cioè bisogna risalire molto molto indietro nei tempi passati. C’è anche un significato estensivo “relativo a un sistema economico elementare” oppure a “famiglia patriarcale” detto di nucleo familiare diretto dall’autorità del maschio più anziano. Che c’azzecca con la società in cui viviamo? È il solito fenomeno della polarizzazione da social per cui si monta un caso enorme sul nulla?
Se in altre parti del mondo e in altre culture il patriarcato continua ad esistere, nel nostro mondo occidentale dal Sessantotto in poi è stato preso di mira sistematicamente proprio quel modello gerarchico fondato sull’autorità, in ambito familiare e sociale. Siamo arrivati alla tipologia contraria di una “società senza padre”, concetto teorizzato anche da Paolo Crepet, in questi giorni super ascoltato in tutte le trasmissioni Tv. Il padre, ci spiega, è la figura che pone delle regole, le fa rispettare, sa dire dei no che aiutano a crescere. Il problema principale oggi è pertanto quello di genitori che non riuscendo a educare i propri figli li assecondano in tutto, li giustificano sempre e provocano un sacco di danni perché i giovani crescono alla deriva.
Il danno ulteriore per la formazione e lo sviluppo sano ed equilibrato degli adolescenti è poi prodotto dai dispositivi elettronici, di cui dispongono quasi da appena nati. Senza alcun controllo da parte degli adulti e senza punti di riferimento, nel web i ragazzi trovano di tutto, anche contenuti di odio e di violenza, che potrebbe instillarsi nella loro psiche da modelli che nulla hanno a che fare con quello patriarcale.
Come dice Crepet bisogna pertanto evitare generalizzazioni basate su reazioni emotive e opposte tifoserie, troppo spesso costruite sul nulla o, peggio, su abili manipolazioni.
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