C’è in atto – è evidente – un’azione di depotenziamento di tutti quei servizi che, nella Costituzione, segnano il tema dell’uguaglianza fra i cittadini: la sanità, il sistema pensionistico, la tassazione, la scuola e la cultura.
La scuola è decisiva: segna, in una realtà di buon funzionamento, il rompersi del principio per cui il figlio dell’operaio farà l’operaio e il figlio dell’avvocato farà l’avvocato.
Arrivare a questa rottura ha un costo: ci vuole una scuola che motivi fortemente a studiare, che unisca conoscenze da cittadino, competenze nelle varie specifiche materie, lingue e molto d’altro. Oltre a mantenere viva una forte motivazione. Alla scuola si chiedono – con ragione – mille cose: dall’alfabetizzazione informatica all’educazione all’affettività e molto d’altro.
Non sempre gli insegnanti sono all’altezza: anche loro, come gli altri cittadini, sono bombardati dei messaggi di una società “finto-comoda”. Molti si impegnano, e tutto sommato la grande maggioranza dei bambini e dei ragazzi vive la scuola come un luogo amico e gli insegnanti come riferimenti positivi.
C’è qualcosa da migliorare? Certo, più riconoscimento sociale (che passa anche attraverso gli stipendi degli insegnanti e del personale scolastico), maggiori possibilità di aggiornamento, classi meno numerose.
Bisogna, docenti e discenti, stare dentro la trasformazione ecologica della società. Che deve concretizzarsi sia nei pannelli fotovoltaici sul tetto dell’edificio scolastico, sia nell’isola pedonale, magari con giardino botanico, che separa la scuola dai rumori e dallo smog.
Ma, oltre a questi dati fisici (che sono senz’altro molto importanti), c’è anche la necessità di creare dei curricoli (intorno all’insegnamento delle scienze naturali, senz’altro) con tentacoli che raggiungono sostanzialmente tutte le materie d’insegnamento.
Si apre sempre di più la questione della personalizzazione dell’insegnamento, relativamente a condizioni psicofisiche dei singoli, o anche a chi proviene da altri territori e deve avere come primo riscontro al suo diritto all’istruzione, una adeguata alfabetizzazione in italiano (unita – è ovvio – ad una presa d’atto delle regole della vita sociale italiana). In entrambi i campi, difficoltà personale vissuta a livello medico o difficoltà nell’incontro con la lingua e la cultura italiane, soccorre in piccola parte il liberarsi di posti per il calo delle nascite (che per il resto non costituisce certo un fenomeno positivo).
Nidi e scuole d’infanzia per tutti, tempo pieno alla primaria, scuole aperte tutto il giorno per la media di primo e secondo grado, sono le modalità che rendono la scuola un territorio libero, ma contemporaneamente cogestito con gli insegnanti. Obiezione che viene ovvia: dagli insegnanti vengono solo lezioni frontali “classiche”.
Intanto, non è vero e molti hanno cambiato le loro modalità. Poi, vengono avanti anche insegnanti più sperimentatori, non sempre i più giovani, che sanno utilizzare bene strumenti audiovisivi e informatici, sia in quanto estensione della lezione frontale che come attività autonoma, ma assistita, degli alunni.
È una lotta difficile, quella per mantenere in buona salute la scuola pubblica, in Italia come ovunque: premono interessi forti, come del resto accade anche nella sanità: diritti contro privilegi, servizi universali contro monopoli e lobbies di potere. E un’altra cosa spetta alla scuola oltre la vocazione ecologista e l’insieme dei curricoli, ed è la lotta per la pace: dalla vita quotidiana in classe, allo studio di quelli che sono stati – nella storia italiana e in quella del mondo – i totalitarismi guerrafondai, a partire dal nazismo e dal fascismo. La scuola è scuola di pace, di riconoscimento dei diritti dell’uomo, di soluzione condivisa dei conflitti, luogo, per questi motivi, di crescita di cittadini del mondo.
Lorenzo Picunio
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