Il riferimento è a qualsiasi tipo di educazione scolastica o universitaria e a qualsiasi genere di processo formativo: corsi professionali regionali o di altro tipo (tirocini, stage ecc.), attività educative quali seminari, conferenze, lezioni private, corsi di lingua, informatica ecc., con la sola esclusione delle attività formative ‘informali’ quali l’autoapprendimento.
In base a indicazioni di Eurostat relative al 2010, come scritto nell’enciclopedia Treccani, in Italia, oltre 2 milioni di giovani risultavano fuori dal circuito formativo e lavorativo (22,1%). La quota dei NEET è più elevata tra le donne (24,9%) che tra gli uomini (19,3%) e nel Mezzogiorno è quasi doppia (30,9% complessivamente, 33,2% per le donne) rispetto al Centro-Nord (16,1%). Nel confronto con i Paesi dell’Unione Europea (in media 15,3%), l’Italia mostra la percentuale più elevata di NEET dopo la Bulgaria e la Lettonia.
La quota meno alta si registra nei Paesi Bassi (5,8%), seguiti da Lussemburgo (6,1%), Danimarca (6,9%) e Svezia (8,3%). Per tentare di risolvere il problema alcuni progetti educativi cercano di individuare ed implementare nuove strategie mirate e strumenti per attuare la cooperazione di rete, migliorando le prestazioni del sistema di istruzione e formazione professionale, i servizi per l’impiego e supportando le autorità pubbliche designate, i loro approcci e relative servizi, al fine di rispondere meglio alle diverse e specifiche esigenze dei NEET a livello locale ed europeo. A questo proposito l’obiettivo generale è quello di implementare reti locali ed europee, composte da attori del sistema di istruzione e formazione professionale, dei servizi per l’impiego e dalle autorità pubbliche designate, rafforzando i loro servizi, metodologie e strumenti, offrendo nuove strategie per prevenire e contrastare il fenomeno NEET.
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