L’Italia detiene il primato europeo per numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano né cercano lavoro, rassegnati all’inettitudine e in attesa di un reddito, se l’otterranno, che possa consentire loro di sopravvivere.
Una zona d’ombra che comprende non solo la fascia dei più giovani, ma anche quell’altra giovane-adulta fra i 25-34 anni.
Secondo i dati Eurostat, contenuti nel volume “La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2021”, dell’Istituto Toniolo, dal 28,9% del 2019 si è passati al 30,7%, con un divario dalla media europea salito da 11,6 a 12,3 punti percentuali.
Una enormità, ma di cui nessuno finora pare se ne stia occupando, nonostante il rischio reale sia, come fanno rilevare gli osservatori, la “cronicizzazione di tale condizione e di diventare destinatari passivi del reddito di cittadinanza”.
Singolare appare pure il fatto che queste figure provengono per la maggior parte da condizioni economiche di partenza già disagiate a cui si aggiunge anche tale stato di protratta disoccupazione, mentre l’avanzare dell’età, come ha dichiarato l’80 percento dei Neet nella fascia di età fra 30 e 34 anni, acutizza la condizione di povertà in conseguenze del mancato ingresso nel mondo del lavoro.
Il percorso di autonomia inoltre trova ostacoli nell’impossibilità di comprare una casa: tra gli intervistati che vivono ancora con i genitori il 26% dichiara di rimanere a vivere con loro perché «sto ancora studiando».
Secondo sempre il Rapporto, oltre uno su tre dei Neet afferma di non vivere autonomamente perché non in grado di affrontare i costi di un’abitazione (35%) contro uno su cinque che dichiara «sto bene così» (20,7%).
In base a questi dati, la ministra per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, vorrebbe puntare sulla formazione già dalle «scuole medie» e sulla implementazione di forme di orientamento più incisive sempre a partire dalla scuola dell’obbligo e dunque dalla secondaria di secondo grado.
Tuttavia quello che non si capisce del tutto è la causa per cui il nostro Paese, all’interno dell’Ue, abbia tale triste primato che temiamo non sia legato solo all’orientamento, ma a condizioni più intrinseche, a una mancanza di dialogo fra istruzione e mondo del lavoro, fra scuole professionali e istituzioni, mentre relativamente agli abbandoni e alle dispersioni, che poi sono un’altra concausa del fenomeno Neet, il ministero dell’Istruzione dovrebbe con grande umiltà interrogarsi.