‘Teachers Are Burning Out on the Job.’ È il titolo che il Wall Street Journal del 26 agosto scorso ha scelto per illustrare la condizione di larga parte dei docenti americani delle scuole pubbliche a pochi giorni dall’inizio delle lezioni.
Un vero e proprio burn-out collettivo di una categoria di lavoratori sempre più demoralizzati ed esauriti a livello psicofisico.
Secondo la recente inchiesta ‘State of the American Teacher 2024’, svolta dal centro di ricerca californiano Rand, soltanto 42 docenti su 100 ritengono che i benefici della loro professione superino i costi. Meno della metà, dunque, ma c’è di più: nel precedente studio datato 2018, la percentuale dei professori soddisfatti delle proprie condizioni generali di lavoro era del 70%. Un’emorragia di circa il 30% in appena sei anni.
La maggioranza dei docenti, oggi, la pensa diversamente. Il considerevole aumento del numero degli studenti afflitti da disagio mentale, il comportamento in classe sempre più aggressivo e meno rispettoso, l’uso smodato dei telefonini e altri dispositivi in classe, il massiccio ‘attacco’ dell’Intelligenza Artificiale che provvede a non fare affaticare troppo gli alunni nello svolgimento dei compiti assegnati e così via. Per non parlare dell’aspetto economico – anche i docenti della scuola pubblica americana sono malpagati – e del malessere generato dagli anni di restrizioni dovute alla pandemia.
Cresce, di conseguenza, il fenomeno dell’abbandono: non degli studenti ma dei professori… Sono molti – secondo il Wall Street Journal – i docenti in situazione certificata di burn-out che decidono di abbandonare la professione per dedicarsi ad altro.
Paradossalmente, come riportato qualche mese fa dalla rivista della casa editrice Loescher, La Ricerca, in una Raccomandazione del dicembre 2021, il Surgeon General degli Stati Uniti (il portavoce del Governo sulle questioni di salute pubblica del Paese), dopo avere constatato l’esistenza di una devastante crisi di salute mentale tra gli adolescenti americani, chiedeva proprio l’aiuto dei docenti per affrontare congiuntamente il fenomeno.
Ma evidentemente anche i professori avrebbero bisogno di essere aiutati. E non può bastare l’autorizzazione a recarsi al lavoro armati di pistola per difendersi dagli squilibrati che di tanto in tanto entrano a scuola per fare una strage.
Purtroppo, al di là di questi bizzarri – e molto pericolosi – espedienti proposti dall’Amministrazione, non sembra ci siano soluzioni in vista. Gli unici strumenti difensivi nascono dal basso, a cura di altri docenti o specialisti che conoscono il problema e si mettono in gioco per dare un contributo: come è il caso di ‘Teacher Talk’, fondato da una ex assistente sociale scolastica, allo scopo di fornire sessioni di terapia da remoto per gli insegnanti. Questo dopo avere capito – perché si era trovata in questa situazione professionale – che gli insegnanti non potevano accontentarsi di 5 minuti di terapia improvvisata nei corridoi ma che avevano bisogno di un supporto più serio e strutturato.