Ai sindacati della scuola non sono proprio andati giù gli ultimi due decreti firmati dal ministro Gelmini prima della sua uscita di scena come ministro dell’Istruzione: le proteste sono giunte appena sono stati resi pubblici (perché a due settimane di distanza?) i due decreti che definiscono contenuti e modalità delle prove di accesso al Tfa e ai percorsi abilitanti per la scuola dell’infanzia e primaria. Lo scontento è tale da aver fatto passare in secondo piano anche la sempre più probabile riduzione di diverse migliaia di posti (sembrerebbe tra gli 8 e i 10 mila) rispetto a quelli indicati dalle Università.
A proposito dei decreti sui Tfa, alcuni sindacati hanno contestato gli argomenti, troppo “alti” e fuori tema, che costituiscono tema di selezione, altri la valutazione dei titoli, altri ancora l’aver ignorato l’esistenza di precari di lunga data (messi sullo stesso piano dei neo-laureati).
La prima ad alzare la voce è stata la Cisl, secondo cui questa doppia firma “a sorpresa” dei decreti è stata posta su delle disposizioni che comportano “fortissime riserve di metodo e di merito”. Nel primo caso perché “è avvenuta senza alcuna previa informativa alle organizzazioni sindacali, nonostante fosse in pieno svolgimento il confronto sull’avvio dei nuovi percorsi formativi, apertosi con l’incontro del 3 novembre, che ha visto la presenza anche di dirigenti del dipartimento Università e al quale avrebbe dovuto seguirne un altro, che l’Amministrazione si era impegnata a riconvocare a breve scadenza per un ulteriore approfondimento e della cui convocazione siamo tuttora in attesa”. Nel merito perché, continua il sindacato guidato da Francesco Scrima, perché “i contenuti ai quali fanno riferimento le prove di accesso, soprattutto per quanto riguarda i percorsi per l’infanzia e la primaria, sembrano andare molto al di là del mero accertamento di conoscenze disciplinari e competenze in lingua italiana”. Per la Cisl siamo di fronte a “delle prove configurabile alla stregua di una valutazione in uscita del percorso formativo, più che di un accertamento in ingresso”, sulla cui composizione ha influito sicuramente la “concitazione propria di una fase di passaggio a nuovi assetti di governo del Miur”.
La prima ad alzare la voce è stata la Cisl, secondo cui questa doppia firma “a sorpresa” dei decreti è stata posta su delle disposizioni che comportano “fortissime riserve di metodo e di merito”. Nel primo caso perché “è avvenuta senza alcuna previa informativa alle organizzazioni sindacali, nonostante fosse in pieno svolgimento il confronto sull’avvio dei nuovi percorsi formativi, apertosi con l’incontro del 3 novembre, che ha visto la presenza anche di dirigenti del dipartimento Università e al quale avrebbe dovuto seguirne un altro, che l’Amministrazione si era impegnata a riconvocare a breve scadenza per un ulteriore approfondimento e della cui convocazione siamo tuttora in attesa”. Nel merito perché, continua il sindacato guidato da Francesco Scrima, perché “i contenuti ai quali fanno riferimento le prove di accesso, soprattutto per quanto riguarda i percorsi per l’infanzia e la primaria, sembrano andare molto al di là del mero accertamento di conoscenze disciplinari e competenze in lingua italiana”. Per la Cisl siamo di fronte a “delle prove configurabile alla stregua di una valutazione in uscita del percorso formativo, più che di un accertamento in ingresso”, sulla cui composizione ha influito sicuramente la “concitazione propria di una fase di passaggio a nuovi assetti di governo del Miur”.
La Cisl però sostiene che c’è ancora tempo per recuperare la situazione: “i decreti dell’11 novembre – sostiene il sindacato – si limitano a definire le caratteristiche delle prove di accesso, il cui effettivo svolgimento è demandato a successivi provvedimenti”, quali “l’emanazione dei bandi da parte delle Università e la fissazione della data delle prove di accesso da parte del Ministro”.
Ancora più veemente è la protesta dell’Anief, che ha deciso diricorrere contro le scelte fatte Miur: “vogliamo che sia garantito – ha detto il presidente Pacifico – l’accesso come sovrannumerari di chi ha prestato servizio dal 2005 ad oggi. Tra questi risultano particolarmente danneggiati coloro che hanno accumulato tre anni di anzianità, un periodo più che sufficiente secondo la normativa europea per accertare sul campo la professionalità raggiunta”. L’Anief non vuole rinviare l’avvio dei corsi per svolgere i Tfa: “è una scelta che danneggerebbe gli insegnanti coinvolti, ma nello stesso tempo non possiamo tacere sulla disparità di trattamento verso degli insegnanti che hanno dimostrato negli anni di possedere le competenze utili allo svolgimento dei corsi abilitanti in via di attuazione. Disparità – continua Pacifico – che si evidenzia anche nella spendibilità del titolo abilitante, utile ad entrare solo nelle graduatorie di seconda fascia, e nel silenzio che riguarda i corsi di abilitazione della secondaria superiore. Sono problemi che vanno affrontati e risolti sin da subito: in caso contrario il sindacato sarà costretto a ricorrere, come extrema ratio, alla via giudiziaria”.
Tutt’altro che conciliante è pure il pensiero della Uil Scuola, che si sofferma sull’anomalia della diffusione dei decreti “con grande ritardo rispetto alla data della firma”, peraltro “in una pagina di complessa accessibilità del sito istituzionale e rendendo disponibile una stesura imprecisa, incompleta e con non pochi ‘svarioni’”. Che il sindacato condotto da Di Menna non si astiene dal citare: “l’ormai superata definizione della scuola dell’infanzia come scuola materna, l’assenza di riferimenti sulla spendibilità delle abilitazioni acquisite tramite Tfa, che ha già generato ansie tra gli aspiranti candidati e scelte discutibili come i riferimenti alle prove concorsuali del 1999 per l’accesso alle abilitazioni alla scuola primaria e dell’infanzia”. L’unica consolazione è che le proteste hanno prodotto un primo risultato: il Miur ha proceduto a convocare d’urgenza un incontro per il 30 novembre. A metà della prossima settimana sapremo quindi se il nuovo corso ministeriale, guidato da Francesco Profumo, vorrà rimediare allo “strappo” finale della Gelmini. Oppure se preferirà iniziare il suo mandato a viale Trastevere con i sindacati messi già di traverso.