Lo denuncia Ansa. Sono già 21 mila i piccoli venuti alla luce da mamme rifugiate nelle nazioni circostanti e la maggior parte dei neonati si trovano in Libano dove le condizioni di vita sono per loro proibitive e i rischi di contrarre una polmonite o la poliomelite altissimi. I dati sono stati diffusi nelle scorse ore dall’Unicef, insieme ad un allarme rosso: se la Comunità internazionale e i paesi ospitanti non faranno di più per aiutare e proteggere i neonati e i bambini figli della guerra civile siriana, non si potrà evitare una “catastrofe”.
A differenza della Turchia, della Giordania e dell’Iraq, il governo libanese non fornisce alcuna sistemazione logistica al flusso ininterrotto di rifugiati siriani che hanno già fatto lievitare del 25% la popolazione del Libano. Così circa 835 mila profughi vivono in tendopoli di fortuna alla periferia di città e villaggi. Con la neve che fiocca ormai regolarmente da settimane e con e temperatore che piombano sotto lo zero ogni notte, l’Unicef registra un incremento di casi di polmonite e malattie respiratorie tra i rifugiati più piccoli e deboli.
Inoltre, afferma l’agenzia dell’Onu per l’infanzia, circa 500 mila bambini, su un milione di minori tra i profughi, rischia di contrarre la polio, in quanto non hanno potuto usufruire della prima vaccinazione, a causa dei combattimenti in patria.
La maggioranza dei piccoli nati nelle tendopoli non hanno poi nemmeno regolari certificati di nascita e ciò li rende particolarmente vulnerabili a qualsiasi tipo di abuso, dal traffico umano al traffico di organi umani o, ancora, ai matrimoni forzati di bambine. Solo il 23% dei 781 bambini nati in Libano lo scorso ottobre da mamme siriane sono stati registrati, afferma ancora l’Unicef.
Ma la situazione non è molto migliore anche nelle altre nazioni vicine. Ad aggravare il dramma dei piccoli siriani vi è anche il fatto che molti di loro hanno perso uno o entrambi i genitori. Alla fine di settembre, l’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha registrato 2440 bambini soli in Libano e 1320 in Giordania. ”Alcuni di loro non riescono nemmeno a parlare, dopo gli orrori che hanno visto”, osserva una portavoce dell’UNHCR, l’italiana Roberta Russo.
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