Le strategie delle scuole per convincere le famiglie ad iscrivere i loro figli non hanno più limiti. Nemmeno quello del buon senso e della salvaguardia dell’inclusione. È bufera, infatti, sull’Istituto Comprensivo statale di via Trionfale di Roma, che sul proprio sito Internet si vanta per avere in una sua sede composta da allievi esclusivamente di ceto medio alto e figli dell’alta borghesia, mentre un altro plesso è frequentato da “alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta” il “maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana”.
“La sede di via Trionfale e il plesso di via Taverna – scrive la scuola romana – accolgono, infatti, alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto, mentre il Plesso di via Assarotti, situato nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana; il plesso di via Vallombrosa, sulla via Cortina d’Ampezzo, accoglie, invece, prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell’alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)”.
La notizia, pubblicata dal quotidiano romano “Leggo” con un servizio dal titolo “Qui l’alta borghesia, lì i figli dei poveri“, è presto rimbalzata sui social. Con commenti e condanne unanimi. Praticamente tutti, sostengono che è inconcepibile che una scuola possa esprimere concetti di anti-inclusione.
La ministra: diano motivate ragioni di questa scelta
Tra i primi ad intervenire, è stato il titolare ‘grillina’ del Miur: “La scuola dovrebbe sempre operare perì favorire l’inclusione – ha detto la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina -. Descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. Mi auguro che l’istituto romano di cui si racconta oggi su leggo.it possa dare motivate ragioni di questa scelta. Che comunque non condivido”.
De Cristofaro: sto facendo rimuovere quel sito web
“Sono davvero sconcertato che nel 2020 una scuola pubblica possa presentarsi sul proprio sito internet distinguendo i propri plessi in base al rango socio-economico dei propri alunni andando contro ogni valore espresso dalla nostra Costituzione. Sto già intervenendo per richiederne l’immediata rimozione dal sito web”, ha fatto sapere, il sottosegretario all’istruzione Peppe De Cristofaro (Leu) sulla vicenda.
Ascani: una presentazione fuori dai principi costituzionali
Anche secondo la vice-ministra dell’Istruzione, Anna Ascani, non è accettabile una scuola “che divide i bambini in base alla classe sociale: da una parte i ricchi, dall’altra i poveri. La scuola italiana non può e non deve essere questo. La scuola è il luogo dell’inclusione e non della ghettizzazione”.
Per la dem l’istituzione scolastica “deve offrire pari opportunità a tutti e deve accorciare le distanze, senza distinzione alcuna. In attesa di avere chiarimenti e di capire come sia stato possibile pubblicare una presentazione così fuori dai principi costituzionali, su richiesta del nostro Ministero, la pagina è stata modificata”: sono state rimosse, infatti, le frasi riguardanti la differenziazione sul ceto sociale degli iscritti.
Rusconi: la scuola dovrebbe combattere le diversità
“La scuola è un luogo educativo ed inclusivo, no a forme di categorizzazioni superficiali e inutili – ha detto Mario Rusconi, presidente dell’Anp-Lazio -: la scuola non può evidenziare eventuali differenziazioni socio-culturali degli alunni iscritti poiché, tra l’altro, oltre a dare una cattiva rappresentazione di sé stessa agli occhi di chi legge corre anche il rischio di originare idee o forme classiste”.
“Uno dei compiti fondamentali della scuola – continua Rusconi – è quello di essere inclusiva, per cui ogni giorno gli insegnanti nel portare avanti le proprie discipline si impegnano nell’aiutare gli studenti a superare tutte quelle problematiche della diversità che si possono manifestare tra i banchi o anche fuori dal contesto scolastico”.
“Non si possono fare affermazione parasociologiche di alcun genere con ricadute sulla scuola se non vengono supportate da dati statistici fondati e ben calibrati. Oltretutto non sono di alcun interesse ai fini scolastici, rischiando di lasciar passare un messaggio sbagliato e fuorviante”, conclude il rappresentante Anp.