Perché bufale, false credenze e sciocchezze d’ogni tipo attecchiscono sui nuovi media e si diffondono oggi a macchia d’olio? Perché su qualsiasi tematica si crea quasi sempre una polarizzazione acritica, che divide gli utenti dei social media in tifoserie contrapposte, violente nel linguaggio e dozzinali nel ragionamento? Qual è l’antidoto a tutto ciò?
Il telefono preferito alla realtà (e alla vita sociale)
Inquieta un fenomeno sociale dilagante: cittadini chiusi nel privato, lontani dai luoghi della partecipazione democratica (non solo partiti e sindacati, ma persino comitati di quartiere, assemblee di condominio, parrocchie). Gli italiani paiono dediti unicamente a dire la propria su Facebook, X, Whatsapp, YouTube e via digitalizzando. Il cellulare sostituisce la realtà. Il cittadino, ridotto a utente/spettatore/cliente, ha così l’illusione di contare, e di farlo senza sforzo, sdraiato sul divano o mentre cammina per strada o scende in metropolitana.
I dati dicono che troppi italiani (quattro milioni e mezzo) formano la propria opinione su informazioni desunte dai social. Secondo il CENSIS più di 14 milioni s’informano solo su Facebook. Pochi leggono libri, pochissimi articoli giornalistici (ma il 40% non legge nulla, secondo l’ISTAT). Negli USA — rileva Annamaria Testa su Internazionale — va ancora peggio: la percentuale di quanti s’informano solo su Facebook sale al 44%.
Se stati emotivi e credenze contano più dei dati di fatto
25 anni fa l’avvento di internet entusiasmava quanti credevano che avrebbe moltiplicato informazione e partecipazione democratica. Dopo un quarto di secolo ci si accorge, invece, che la gestione privatistica del web a fini di lucro — da parte di alcune strapotenti multinazionali — altro non fa, se non regalare agli utenti solo l’illusione di un’informazione obiettiva. In realtà chiunque entri in un social s’immerge in un labirinto di specchi, ove vede solo le immagini che vuol vedere, si conferma nelle convinzioni di cui vuol esser convinto, crede ancor più soltanto in ciò che desidera credere. Risultato: nel 2016 (anno dell’elezione di Trump col contributo determinante dei social) l’Oxford Dictionary ha dichiarato “parola internazionale dell’anno” l’espressione “post-verità” (“post-truth”), scelta per definire la nostra epoca come contesto sociologico in cui la pubblica opinione si forma sulla base di personali credenze ed emozioni, anziché sull’analisi obiettiva dei fatti.
Terrapiattismo e altri deliri
Ecco spiegato l’emergere di autentiche farneticazioni come quella terrapiattista, la cui principale argomentazione per “dimostrare” che la terra sia piatta è che «si vede che è piatta», quindi «la bufala è che sia sferica». “Dimostrato” ciò, i terrapiattisti giungono a sostenere, tra l’altro, che gli scheletri dei dinosauri appartengano in realtà ai “Giganti” da cui saremmo stati preceduti sulla Terra; che l’evoluzione non esista, perché nessuna scimmia è capace di diventare uomo, e nessun pesce è capace di diventare rettile e camminare sulla terraferma; che la Terra sia un disco, al cui centro è il Polo Nord, mentre il Polo sud è tutto intorno, delimitato da una catena montuosa verde smeraldo di 72.000 chilometri di lunghezza e 400 di altezza, difesa negli ultimi 2.000 anni da “guardiani” che vivono di frutti della terra; che oltre quei monti ci siano terre inesplorate.
«Se usi il fon, il global warming non esiste»
Deliri analoghi son concepiti dalle fertili menti di chi misconosce — per ignoranza o malafede — le minacce del surriscaldamento globale. Durante l’incandescente estate 2023 — la più calda della Storia (e la più fresca dei prossimi 70 anni) — una sedicente insegnante pontificava candidamente su Facebook che il global warming non esiste. La prova? Il “fatto incontestabile” che lei aveva dovuto asciugarsi i capelli col fon. Un altro coltissimo utente del social californiano scriveva pochi giorni fa che la Terra si sta, sì, riscaldando; ma che ciò è positivo, perché lui vive in Val d’Aosta, ed ha avuto due incidenti a causa del ghiaccio.
Il negazionismo sulla crisi climatica si annida anche nelle elucubrazioni dei tanti fanatici delle “scie chimiche” e della cosiddetta “geoingegneria climatica”, praticata (secondo loro) dai perfidi yankee per distruggere il bel clima italiano. A nulla vale il far notare loro che anche negli Stati Uniti il clima è alla catastrofe come quello di tutto il pianeta.
“Interminati spazi” di asineria
L’ignoranza è talmente abissale in simili soggetti, da far sì che essi confondano l’esperienza personale con l’oggettività del dato scientifico, la propria emotività con le certezze derivanti dallo studio statistico dei fatti, i propri umorali pensieri con le evidenze riscontrabili e obiettivamente misurabili. Manca loro, in una parola, la scolarizzazione di base. Non l’hanno mai avuta? L’hanno avuta, ma presto dimenticata? L’hanno avuta col “6 politico”? Hanno studiato a memoria senza capire ciò che a memoria ripetevano? L’hanno avuta, sotto forma di diploma, imbrogliando i propri professori? Non lo sapremo mai.
Senza conoscenza, nessuna “competenza” sarà mai possibile
Tutto ciò dimostra inequivocabilmente, comunque, che non si può diventare “competenti” nel distinguere tra realtà e fantasie, se non si possiedono abbondanti e solide conoscenze: scientifiche, e dunque anche filosofiche, e quindi anche letterarie, e perciò anche linguistiche. Sostenere che si possa direttamente saltare le conoscenze per ottenere le “competenze”, significa voler perpetuare la situazione attuale: quella in cui nessuno si vergogna più di gridare in faccia al mondo qualsiasi delirante idiozia.