L’ultima, in ordine temporale, delle scelte miopi di una Istituzione, che dovrebbe favorire un armonico sviluppo e al contrario opta per la discriminazione, è quella del comune di Roma che fa pagare alle scuole pubbliche paritarie il 300% in più di tassa raccolta rifiuti.
Il modesto – si fa per dire – fatto di cronaca di cui sopra invita il cittadino ad una riflessione ab ovo.
Istituzioni che discriminano. Sembrerebbe una contraddizione in termini in uno Stato democratico, a meno che non lo si scopra – questo Stato – portatore di un “peccato di origine”: dal 1948 il cittadino italiano sperimenta l’impossibilità di passare dal “riconoscimento” alla “garanzia” del diritto, al punto che l’art. 3 della Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” appare più che mai, a chi riflette, come lettera morta. Non esiste infatti dignità alcuna per la famiglia che non ha la libertà di scegliere la scuola pubblica paritaria per i propri figli – dopo aver pagato le tasse per la scuola pubblica statale. Doppia criticità: una scuola pubblica, gestita dallo Stato secondo uno dei due modelli del Sistema Nazionale di Istruzione, è pagata a caro prezzo anche se non scelta; un’altra scuola, gestita da Enti, ugualmente pubblica, inserita nello stesso Sistema, è pagata due volte, a) come contribuente dello Stato e b) come fruitore di un servizio pubblico, che non solo allo Stato non costa nulla, ma che gli consente l’utilizzo di denaro “pulito” a spese del cittadino stesso.
Di tale “sussidiarietà al contrario” – a livello macroscopico si discute in rapporto alla grande patologia dello Stato italiano: la corruzione imbevuta di spreco, incancrenita nel debito pubblico, finanziato dai cittadini. Oggi questi stessi cittadini sono chiamati a pagare nuovamente, e a livello locale, i debiti della mala gestione pubblica e a rimpinguare le casse comunali che da anni fungevano da copertura agli affari più loschi. E non solo nella Capitale.
Infatti il 300% in più di spesa per la spazzatura, applicata alle scuole paritarie, non rappresenta semplicemente una azione discriminatoria verso una porzione importante di quel sistema scolastico nazionale che non è mai riuscito a garantire il reale esercizio della libertà di scelta educativa, ma è la punta di un iceberg di negazione del diritto che merita un accenno di lunga memoria.
In Italia esiste una ingiustizia di fondo avallata dallo Stato, che riconosce ma non garantisce la libertà di scelta educativa in un contesto di pluralità di offerta formativa. Chi non se ne accorge, si trova nella triste condizione di chi è cieco, sordo e muto.
Dal 1948 ad oggi, infatti, lo Stato di diritto non ha saputo garantire il più naturale dei diritti riconosciuti e cioè che un padre e una madre possano decidere liberamente (leggasi: senza condizionamenti economici e in un ventaglio di proposte civili) sulla questione-principe che compete loro: come e dove educare il proprio pargolo.
Diversamente – come ormai anche i muri sanno – tutti i Paesi Europei, ad eccezione della Grecia e dell’Italia, garantiscono alla famiglia, cioè ai genitori e quindi agli stessi figli, la libertà di scelta educativa in una pluralità di offerta formativa pubblica, paritaria e statale. Publicum est pro populo.
Purtuttavia, anche se questo attacco di per sè sarebbe già grave, esso non è principalmente un attacco solo alle scuole pubbliche paritarie che ai sensi della legge n. 62/00 fanno pienamente parte di diritto e di fatto del Sistema Nazionale di istruzione e formazione integrati, ma è de facto un attacco alla istituzione-famiglia, colpita nella sua libertà di formarsi e di formare, e quindi al cuore del suo stesso essere.
Nel caso specifico della tassa romana per la spazzatura, non esiste neppure la radice ideologica del provvedimento: quest’ultimo rappresenta piuttosto una scelta economica banalmente di cassa, che si riduce al ruolo di pompa esattoriale, e che otterrà l’effetto esattamente opposto: le scuole pubbliche paritarie, per sopravvivere, devono aumentare in modo spropositato i contributi al loro funzionamento, pagati ingiustamente dalle famiglie (che già pagano le tasse per la scuola pubblica statale); nel breve periodo, tali scuole pubbliche paritarie chiuderanno i battenti per mancanza di alunni, i cui genitori non possono “pagare la loro libertà di scelta” a causa della crisi economica; Comuni, Province, Regioni perderanno la ricchezza della pluralità formativa, che si tradurrà in un costoso abbrutimento della vita civile; le stesse istituzioni come il comune di Roma, che solo per un certo periodo avranno “beneficiato” di quel 300% in più, presto si troveranno ad affrontare la spesa folle di fornire il servizio scolastico alle migliaia di alunni lasciati a casa dalle scuole pubbliche paritarie, che fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro all’anno. “Come uccidere un buon finanziatore e illudersi di restare vivi”… E, dulcis in fundo, il Servizio Nazionale di Istruzione sarà una struttura di regime, gestita da uno Stato che è allo stesso tempo Gestore e Controllore…
Non solo. Occorrerà coerentemente cancellare dalla Costituzione Italiana il diritto alla libertà di scelta educativa espresso negli art. 3/30/33 della Carta; dichiarare a viso aperto all’Europa che delle risoluzioni del 1984 e del 2012 riguardanti la libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo l’Italia non sa che farsene e dichiarare anche all’Onu che l’Italia abolisce l’art. 26 – “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli (3° comma) – e tutti i patti internazionali che ne sono seguiti.
Un principio di buona gestione: ciò che produce ricchezza – non solo materiale, ma anche giuridica e morale – non va affossato, ma valorizzato, incrementato, sviluppato. La scuola pubblica italiana – erede delle universitates studiorum medievali, delle congregazioni insegnanti tridentine (barnabiti, somaschi e gesuiti), delle Scuole fondate nell’Ottocento a favore soprattutto del volgo depresso, quando lo Stato gestore non esisteva – oggi, dopo centocinquanta e rotti anni di Stato unitario, di cui quasi settanta di Repubblica ingabbiata dall’ideologia, ferita dalla mala politica, dissanguata dalla finanza allegra, giace ricoverata in Terapia Intensiva, con alcune funzioni vitali ancora presenti, ma molte altre fortemente compromesse. Tutta la Scuola Pubblica Italiana, un patrimonio culturale di secoli, humus dell’Europa degli Stati, motore della rinascita post-bellica, antidoto a future catastrofi economiche e sociali, si sta dissolvendo.
E allora chi si sta attaccando realmente? Si sta attaccando il cittadino impedendogli di esercitare il più naturale dei diritti, la libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo. Quel pluralismo che la saggezza dei nostri padri ha individuato e favorito nella Costituzione repubblicana, che ha anticipato la dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e che viene riconosciuta successivamente da due risoluzioni europee ampiamente ignorate nel 1984 e nel 2012.
Esiste una soluzione non solo – banalmente – per “fare cassa”, ma anche per salvare un patrimonio di cultura e di sapienza educativa. Lo strumento è già chiaro: il costo standard è l’anello mancante affinchè si faccia scegliere la scuola pubblica – statale o paritaria – alla famiglia; di conseguenza l’Italia avrà: a) buone scuole pubbliche gestite in modo oculato; b) un sistema scolastico pluralista quanto alle linee progettuali della formazione; c) docenti preparati e stimolati e non più discriminati in orizzontale e in verticale; d) una sana concorrenza tra le scuole sotto lo sguardo di uno Stato garante e non più gestore di un monopolio; e) la realizzazione finalmente dell’autonomia scolastica e della sussidiarietà.
Certi atti di violenza inaudita, di intolleranza grave verso il proprio simile non nascono dal nulla e si possono evitare, ma solo salvando il peso del Diritto, che sta al cuore della Famiglia.
Il documento sulla la buona scuola del governo Renzi ha aperto ai principi di diritto ma è chiaro che c’è un punto di non ritorno che non può più tollerare scelte miopi e insensate.
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