Per i credenti, ogni resurrezione è diversa dall’altra. Per tutti, la Pasqua del 2020 è diversa delle altre: per sempre, sarà ricordata come quella del Coronavirus. Quella del tempo che scorreva lento e in cui si stava tutti chiusi a casa. Con le serrande dei negozi abbassate, delle strade deserte, di chi era costretto ad uscire vestito da chirurgo, dell’altro considerato un potenziale appestato da cui stare lontano. Ma anche del tempo delle scuole chiuse.
Già, le scuole. Perchè è vero che a Pasqua, come a Natale e in estate, le lezioni si fermano. Ma proprio in quei giorni ci siamo resi conto della straordinarietà dello stare assieme in classe, dove le ore sono scandite dall’avvicendarsi delle materie e dei docenti, dallo scambio dei pensieri, delle esperienze e dei sentimenti.
Nel tempo in cui google, facebook, instagram e whatsapp fagocitano tutto, anche in famiglia, dove ognuno è perennemente concentrato sul suo schermo, la scuola rimane infatti l’unico posto dove le relazioni si mantengono vive e vegete: l’unico momento della quotidianità dove gli smartphone rimangono spenti e ci si guarda negli occhi.
Certo, in quei giorni, prima e dopo la Pasqua del 2020, la didattica distanza era riuscita a mantenere in contatto docenti e studenti. Anche i più restii ad usare le nuove tecnologie e a connettersi ad internet, i più tradizionalisti, si sono dovuti arrendere. Perché era l’unico modo per portare avanti, per quanto possibile, i programmi e gli studi.
Solo che il registro elettronico, zoom e skype, benché utilissimi, non erano riusciti a stabilire quelle relazioni e i rapporti dal vivo che solo in classe si riuscivano a vivere. Quelle interazioni, fatte di sguardi, di “prof posso andare al bagno”, dell’appello che non finisce mai, delle giustificazioni da portare il giorno dopo “mi raccomando”, delle interrogazioni con le risposte mute “eppure l’abbiamo detto cento volte”.
Quanto ci mancava la nostra cara vecchia scuola. E proprio in quei giorni di Pasqua 2020 abbiamo capito che non se ne poteva fare a meno.
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