
Ho trovato subito, quasi istintivamente, una certa consentaneità con le confessioni (condivise sui social) di alcuni docenti sessantenni e ultrassessantenni (categoria a cui ormai anch’io appartengo) che esprimevano, con tristezza, un certo disagio professionale. Sì, non è vita facile per noi vecchi insegnanti adesso (forse in passato la situazione era migliore).
Una scuola altamente digitalizzata, costruita per nativi digitali e non (come noi vecchi) per migranti (o ignoranti) digitali, una lingua non nostra, la perfida Albione (l’inglese), che domina e imperversa, incontrastata, spadroneggiando tra le aule scolastiche e in ogni disciplina e terrorizzando coloro che ancora non la parlano o (con resistenza eroica e romantica) la vorrebbero contrastare (o almeno limitare), il moltiplicarsi illimitato di moderni metodi didattici (molti irrealizzabili, non pochi sterili), l’infittirsi infinito e inarrestabile di nuovi e ‘strani’ incarichi, compiti, incombenze e gravami di ogni sorta, impossibili per noi (poveri vecchi) da sostenere, il rapporto sempre più difficoltoso con i giovani (troppo generazioni ci separano), giovani sempre più ‘complicati’, che genera incomprensione e, a volte, incomunicabilità e diffidenza reciproca, le vigorose e ‘spregiudicate’ richieste dei genitori (succede anche questo) a cui, per debolezza fisica e mentale, non riusciamo a far fronte (non come vorremmo) e i rapporti con i giovani colleghi, per i quali (può accadere) non siamo più i maestri di una volta (anzi non di rado siamo da loro considerati un retaggio del passato da eliminare) e, chi l’avrebbe mai detto, a cui dobbiamo spesso umilmente rivolgerci per riuscire a capire qualcosa sui sistemi informatici che regolano la vita scolastica.
Vale ancora la nostra esperienza? E quanto? Anche i Dirigenti ormai (e questo è un bene) puntano molto sui giovani. No, non è una scuola per ‘vecchi’ questa. Soprattutto quando vuole e pretende attivismo, lavoro senza limiti (una sorta di volontariato ‘coatto’) e produttività, quando aumenta a dismisura le responsabilità, impone ritmi forzati e obbliga a una continua quanto discutibile formazione. Per noi ‘vecchi’, non abituati a certe pressioni, c’è il rischio di ammalarsi.
Dovrebbero proprio mandarci in pensione e lasciare spazio ai giovani o, in alternativa, diminuirci il carico didattico alternandolo con altre attività, aumentare i giorni di ferie per permettere un recupero di energie, diversificare e alleggerire il nostro lavoro (a stipendio invariato, ovviamente). Dovrebbero…
Bisogna anche ammettere che esistono i docenti ‘ever green’ (intramontabili), dallo spirito sempre giovane, energici, moderni, volenterosi, al passo coi tempi, insensibili (in apparenza) al passare degli anni, sicuri del loro operare, della loro insostituibilità e del loro positivo esempio per i neo-assunti, forti dell’esperienza tesaurizzata negli anni e disposti a insegnare per sempre, finché morte non li separi dalla cattedra. L’educazione per loro è una missione (e magari anche una necessità legata a motivi economici), un’autentica vocazione.
Esistono colleghi di tal fatta e non pochi. Li ammiro e li rispetto, sicuramente, ma non posso trattenermi dal pensare che, durante la Prima Repubblica, alla mia età avrei potuto già essere in pensione e avere una buona pensione. Oggi invece…
Ultimamente l’associazione sindacale ANIEF ha inviato una petizione al Parlamento perché venga approvata una legge che riconosca l’insegnamento un lavoro usurante (come affermano gli ‘studiosi’) e consenta ai docenti di andare in pensione a sessant’anni. Su questo punto, afferma il sindacato, si batterà anche in sede di rinnovo contrattuale. Speriamo si riesca a ottenere qualcosa. Piccola speranza, invero.
In realtà il governo non sembra disposto (nonostante tutte le promesse elettorali) a cambiare la legge Fornero, per ora. Forse è ancora la cosa migliore. Se la cambiasse potrebbe addirittura peggiorarla. Già si parla di pensionamenti obbligatori a settant’anni (mai o poi mai)! Le statistiche individuano in Italia i docenti più anziani d’Europa.
Siamo docenti ‘vecchi’, insomma; illudiamoci allora (che non sia solo illusione) di essere ancora validi e utili per l’educazione e la formazione del ‘futuro’.
Andrea Ceriani