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Nella scuola di oggi: telefonini si o telefonini no?

È il caso dei telefonini a scuola, da sempre durante le lezioni tra le mani degli studenti di quest’ultima generazione, ma recentemente assurti ad argomento di dibattito e di diatribe per l’uso improprio che, come hanno dimostrato taluni recenti episodi di riprovevole comportamento giovanile, ne è stato fatto anche a limite del codice penale.
Sulla tolleranza, la necessità, gli abusi, ecc. si sono spesi fiumi di inchiostro da parte della intellighenzia scolastica, dei centri politici decisori, delle autorità scolastiche a tutti i livelli con ineluttabile strumentalizzazione dei mass media.
Ancora oggi, tuttavia, nessuno è in grado di dire se i telefonini debbano essere estromessi dalla scuola o possano piuttosto essere tollerati nel nome dei vantaggi che l’uso corretto può sicuramente assicurare e al quale gli studenti debbono pure essere abituati.
Da una inchiesta, molto enfatizzata dai grandi mezzi di comunicazione di massa, è emerso che essi ormai fanno parte della vita dei ragazzi e dei giovani di oggi e che proibirli farebbe loro correre gravi rischi con danni psicologici rilevanti.
Il problema, in verità, non è questo, atteso che  ormai anche essi rientrano negli oggetti che delineano lo status symbol della generazione giovanile del momento, come un tempo è stata la mini gonna, e oggi sono i pantaloni femminili a vita bassa con esposizione di ombelico e di abbondante circostante tessuto epidermico.
Status symbol, per altro verso, che diviene patrimonio indiscutibile di tutti e su cui non si può intervenire. Finiscono, infatti, sicuramente con l’essere ridicoli quanti aspirano al ritorno della copertura del bacino delle ragazze.

Il problema dei telefonini a scuola, in verità, è un altro o se vogliamo è di ben diversa natura rispetto a come viene posto oggi nella maggior parte dei casi.
Nella suddetta inchiesta, infatti, è stato evidenziato che gli studenti l’adoperano continuamente e sistematicamente durante tutti i momenti delle lezioni, interrogazioni dei compagni, spiegazioni degli insegnanti, dimostrazioni pratiche.
La circostanza, non v’è chi non veda, chiama in causa non i telefonini in sé in quanto vituperevoli diavolerie delle più avanzate tecnologie, ma la stessa  scuola, più specificamente il modo con cui gli insegnanti tengono le lezioni, le modalità con cui interessano alle loro discipline gli alunni, le motivazioni che riescono a stimolare quando spiegano una pagina di filosofia o di letteratura, ad esempio.
L’attenzione di chi vorrebbe risolvere il problema, insomma, deve essere rivolta a verificare se tanti insegnanti riescono a fare partecipare i loro alunni attivamente alla scoperta del loro sapere e a motivarli alla loro crescita culturale.
In una parola: gli insegnanti quanto sanno fare amare le discipline e con esse la scuola? quanto sanno fare sentire e gustare ai loro alunni la gioia di apprendere, di arricchire la loro personalità con l’approccio alla vera cultura?
In definitiva: se gli studenti, mentre gli insegnanti fanno scuola, sentono di doversi dedicare al telefonino, sia per inviare messaggi, sia per scoprire nuovi mondi, sia per dialogare o per altro, da mettere sul banco degli imputati non sono i telefonini, ma la scuola.
È la scuola, come si vede ancora una volta, che deve cambiare. Innanzitutto tornando ad essere scuola. Il che, al di là delle vuote parole, significa essere tale da costruire intorno a se stessa  il consenso. La scuola deve tornare ad essere tenuta nella giusta considerazione. Deve riguadagnarsi la dignità e il consenso sociale. I ragazzi di oggi ritrovando la fiducia nelle funzioni e nel ruolo  di quella struttura organizzativa di natura culturale nella quale trascorrono buona parte della giornata, sicuramente saranno in grado di anteporne i vari momenti al disimpegno attraverso il telefonino.
Se così deve essere posto il problema, in verità, occorre allora una volta porsi il problema di vedere come è possibile, se è possibile, cambiare finalmente il modo di fare scuola.
Giuseppe Guzzo

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