Lo rileva il Sole 24 Ore, scrivendo che non c’è traccia dei poli italiani nelle 100 posizioni totali: i nostri atenei, già condannati da altri ranking per finanziamenti e outlook internazionale, perdono terreno anche tra i più di 10.500 giudizi accademici raccolti tra studiosi di tutto il mondo nel 2013.
Harvard si conferma al primissimo gradino del podio. Rispetto al suo risultato, preso a modello con base 100, seguono Mit di Boston (90,4), Stanford University (74,9), Cambridge (74,3), Oxford (67,8), Berkeley (63,1), Princeton (35,7), Yale (30,9), California Insitute of Technology (29,2), Ucla (28,8). “Solo” 11esima Tokyo (27,7), nell’edizione dello scorso anno unica istituzione non nordamericana o britannica tra le prime 10.
L’università italiana resta fuori dalla classifica, in una graduatoria che confina Humbdolt-Universitat di Berlino e Sorbona di Parigi tra la 71esima e l’80esima posizione. I punteggi esatti dalla 50esima posizione in giù non sono disponibile, perché – a detta di Reuteurs – lo scarto è “troppo ristretto” per essere evidenziato.
A differenza del World University Ranking, l’indice sull’eccellenza accademica redatto con la consulenza di Thompson Reuteurs, la graduatoria si basa esclusivamente su «opinioni soggettive – anche se opinioni di riconosciuti e apprezzati accademici». Quindi pesanti quanto basta per influenzare gli stakeholder, tra i target principali delle griglie di valutazione del Times e degli altri ranking di categoria più influenti. La top 100 emersa nel 2014 è il frutto di 10.536 responsi ad altrettanti questionari, somministrati in un totale di 133 paesi. Gli intervistati devono indicare i 15 atenei che giudicano migliori, in base alla propria esperienza, nei macrosettori di scienze sociali, ingegneria e tecnologie, discipline umanistiche, discipline cliniche e sanitarie e scienze della terra.
I risultati, comunque, restano soggettivi.
Non è un caso che la aree con la maggior concentrazione di questionari compilati siano quelle più rappresentate nei quartieri alti della classifica: il 25% dei “responses” arriva dal Nord America, il 19% dall’Europa occidentale (Regno Unito incluso.); il 13% dall’Asia. Rispettivamente cinque, quasi quattro e più di due volte tanto i feedback registrati tra studiosi operativi nell’Europa del sud, pari al 5% del totale.
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