E’ quanto emerge dal primo “Rapporto di monitoraggio sulle esperienze di insegnamento/sensibilizzazione alle lingue straniere nella scuola dell’infanzia” del Ministero dell’Istruzione, che ha analizzato, tramite questionario, le attività di un campione di 1.740 scuole (1.425 statali e 315 paritarie) di 18 regioni. 257.713 i piccoli allievi coinvolti, di cui 29.150 non italofoni.
Negli ultimi tre anni a proporre forme di insegnamento di lingua straniera, inglese soprattutto (96,5%), è stato l’84,8% degli istituti. Un’offerta che piace molto a genitori e maestri di scuola primaria, ma che allo stesso tempo mette in luce la necessità di “intervenire in modo sistemico sulla formazione dei docenti”.
Circa uno su 5, infatti, ha un’abilitazione (livello A2) “decisamente inferiore” a quella richiesta a un docente di lingua straniera (livello B2).
L’84,8% delle scuole intervistate dichiara di aver attivato forme di insegnamento della lingua straniera, mentre il 53,4% ha attivato forme di sensibilizzazione alle lingue. Il 48,7% ha avviato entrambe le proposte. Potrebbe essere un buon inizio per un sistema scolastico che, nei piani e nelle intenzioni del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, vede l’introduzione dell’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera (Clil) già dalla primaria.
Alla scuola dell’infanzia, nella metà dei casi, è un docente interno a tenere le “lezioni”. La maggior parte possiede una laurea abilitante, una laurea in lingue o un diploma magistrale ed è qualificata per l’insegnamento di una lingua straniera. Una fetta di questi, però, impegnata sia nelle attività di insegnamento (20,7%) che in quelle di sensibilizzazione (16%), ha un livello di abilitazione (A2) “decisamente inferiore” a quello solitamente richiesto (B2). Di contro, invece, ci sono docenti con livelli di competenza molto alti, C1-C2, presenti per il 25,4% nelle attività di insegnamento e per il 14,8% nelle attività di sensibilizzazione.
Le “lezioni”, prettamente a carattere ludico, hanno cadenza settimanale (62,5%) e durano più di 30 minuti (68,2%). Sono rivolte in particolare ai bambini dai 5 anni (46,3%). Solo il 15,9% delle scuole statali e il 27,9% di quelle paritarie ha un’aula dedicata alla didattica. In generale, nella maggioranza dei casi (62,3%) per queste attività non sono chiesti costi aggiuntivi alle famiglie.
L’inglese è la lingua più gettonata tra quelle insegnate (96,5% delle scuole) nelle scuole prese a campione, ma ci sono anche percorsi didattici dedicati al francese (1,62%), allo spagnolo (0,81%), al tedesco (0,5%) e alle lingue emergenti come cinese (0,07%) e arabo (0,5%). Dai questionari, conclude il rapporto, “non emergono però iniziative per l’insegnamento o la sensibilizzazione a lingue come il rumeno o l’albanese, ormai prevalenti tra la popolazione non italofona”. (Ansa)
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