Si chiama William Hardy ed è il papà di un alunno della scuola Casati di Milano, di uno dei bambini che in questi giorni hanno riportato a casa un foglio con il quale la scuola comunicava la necessità di portare nelle classi una confezione di carta igienica ciascuno.
Hardy ha pensato bene di fotografare il volantino e postarlo su TheLocal.it, magazine online di notizie dall’Italia in inglese. Il caso è esploso dunque sulla stampa britannica: Daily Mail, The Indipendent raccontano stupiti che nelle scuole italiane i bambini devono portarsi la carta igienica da casa perché non ci sono fondi a sufficienza.
L’Inghilterra si è meravigliata per quella che da anni in Italia è praticamente un’abitudine e una consuetudine. Chiunque abbia frequentato delle scuole pubbliche negli ultimi vent’anni ha portato a scuola almeno una confezione di carta igienica, scottex e sapone per lavarsi le mani.
In alcuni istituti le famiglie hanno dovuto provvedere persino ad acquistare il toner delle fotocopiatrici. Tutto materiale che la scuola dovrebbe avere in partenza. Eppure non è così che accade.
Ovviamente la spesa che una confezione di carta igienica comporta è minima e di certo non grava in modo irrimediabile sul bilancio di una famiglia. Non costa granché far portare ai propri figli il sapone. Il problema è quel senso di rassegnazione che lo stesso Hardy ha confessato di provare, pur decidendo di sollevare la questione con piglio polemico. Rassegnarsi al fatto che nelle scuole pubbliche mancherà sempre qualcosa, ci saranno sempre delle aule inagibili, delle norme di sicurezza non rispettate, degli impedimenti va ad alimentare la frustrazione del cittadino comune, quello che paga le tasse ma si vede negato il diritto di usufruire appieno di un servizio che gli spetterebbe. Senza contare che non fa che incrementare il divario tra pubblico e privato, tra scuole di serie A e scuole di serie B. Di sicuro non è il dover portarsi la carta igienica da casa a influire in modo decisivo nella scelta di un istituto scolastico rispetto ad un altro, però bisognerebbe non sottovalutare la sensazione di rinuncia e accettazione – come a voler dire “tanto ormai abbiamo perso le speranze” – tanto meno lo stupore suscitato oltre i confini nazionali. Perché se veramente ci si inizia ad abituare alla mediocrità allora non si farà mai nulla di effettivamente concreto per cambiare la situazione e per migliorare il pubblico. Anche se il motore del cambiamento sembra essere in alto, a sollecitarne l’avvio siamo noi tutti.