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Nelson Mandela day, la storia di un combattente simbolo dei diritti civili e della libertà

Si celebra il 18 luglio di ogni anno la Giornata istituita nel 2009 dalle Nazioni Unite in onore di Nelson Mandela, combattente, detenuto e poi presidente del dopo apartheid in Sudafrica. Il “Mandela International Day”, che ricade nel giorno della nascita del “simbolo del Sudafrica” liberato dal razzismo, intende anche costituire un’occasione per promuovere la giustizia, la pace e i diritti sociali in tutto il mondo.

Incarcerato per quasi 28 anni per essersi battuto contro l’apartheid e liberare dalla segregazione il suo popolo

Nelson Mandela ha combattuto in prima linea, è stato incarcerato per quasi 28 anni per essersi battuto contro l’apartheid e liberare dalla segregazione il suo popolo. Un personaggio che resterà nei libri di storia e soprattutto un uomo che ha meritato rispetto e ammirazione, ricordato come un rivoluzionario difensore degli oppressi e poi un “pacificatore” nel Sudafrica post razzismo.

Nelson Rolihlahla Mandela nasce a Mvezo, piccolo villaggio del Sudafrica, il 18 luglio 1918, figlio di un capo della tribù Thembu, di etnia Xhosa. Come leggiamo in alcune sue biografie, ad esempio quella riportata su www.studenti.it, dopo essere stato iscritto nelle scuole africane per studenti neri laureandosi in giurisprudenza, nel 1942 fa il suo debutto in politica, diventando membro dell’African National Congress (Anc). Successivamente alla vittoria elettorale del Partito Nazionale, che sosteneva la politica di apartheid prevedendo la segregazione razziale dei neri sudafricani, nel 1948, il governo del Sudafrica approvò alcune leggi che puntavano a tenere bianchi e neri separati. L’apartheid obbligava i bianchi e i non-bianchi (non erano soltanto i neri africani, ma anche minoranze di asiatici o persone di etnia mista, come i cosiddetti “coloured” sudafricani, intesi come “meticci”) a vivere e a lavorare in aree separate. Vennero proibiti i matrimoni interrazziali, inoltre un bianco e un nero non potevano nemmeno sedersi nello stesso ristorante o prendere lo stesso autobus, le compagini sportive non ammettevano giocatori di ‘colori’ diversi. Chiunque si opponeva al sistema dell’apartheid subiva conseguenze penali, i neri venivano deportati con la forza nelle cosiddette “homeland del sud”, costretti a lasciare le loro case e gli affetti, senza godere di alcun tipo di diritti. La segregazione razziale riguardava anche i bambini: i bimbi neri andavano in scuole diverse rispetto ai bianchi.

Mandela assume un ruolo importante nella resistenza organizzata dall’Anc. Nel marzo 1960, dopo anni di lotte pacifiche e di azioni di “disobbedienza civile” (fino ad allora si ispirava alle teorie di opposizione non violenta di Gandhi), l’uccisione di manifestanti disarmati a Sharpeville, nei pressi di Johannesburg, dove si svolgeva una protesta contro l’apartheid, nonché la messa fuori legge dell’Anc e di tutti i gruppi anti-apartheid spingono l’avvocato sudafricano ad appoggiare la lotta armata, fondando l’Umkonto we Siswe (“lancia della nazione”) e abbandonando per il momento il pacifismo.

Già tra la fine degli Anni ‘50 e i primi Anni ’60, all’epoca dell’arresto che lo condurrà ad una lunga prigionia, fece anche parte del Comitato Centrale del Partito comunista sudafricano (peraltro l’Anc divenne membro dell’Internazionale socialista).

Ispirandosi in parte alla rivoluzione cubana, Nelson Mandela coordina la campagna di sabotaggio contro l’esercito che spesso attuava pesantissime repressioni ed elabora piani per porre fine all’apartheid. Nell’agosto 1962, Mandela viene arrestato dalla polizia sudafricana (la prima volta era stato arrestato assieme ad altre 150 persone il 5 dicembre 1956) per aver organizzato manifestazioni di protesta e per essere uscito dal Paese senza l’autorizzazione delle autorità, e viene condannato a 5 anni di carcere. Durante la sua prigionia, la polizia arrestò importanti attivisti dell’African National Congress  l’11 luglio 1963 e Mandela fu imputato anche in questo processo: insieme ad altri fu accusato di sabotaggio (reato del quale si dichiarò colpevole) e di cospirazione per aver cercato di aiutare altri Paesi a invadere il Sudafrica (reato del quale invece si dichiarò non colpevole) e fu rinchiuso, dopo essere stato condannato all’ergastolo con l’accusa di sabotaggio, nella prigione di Robben Island.

Anche dalla prigione, in cui rimase sino all’età di 71 anni, Mandela diede impulso all’opposizione contro il regime razzista sudafricano. Nel 1993 gli viene assegnato il Premio Nobel per la pace

Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990 (mai disposto a scendere a compromessi politici come contropartita per ottenere la libertà, nonostante anche una tubercolosi durante il periodo di prigionia), dando però sempre impulso all’opposizione contro il sistema di razzismo in Sudafrica (peraltro lo slogan “Nelson Mandela libero” divenne il grido di tutte le campagne anti-apartheid del mondo). Le crescenti proteste dell’African National Congress e le pressioni della comunità internazionale portarono al suo rilascio l’11 febbraio 1990, su ordine del Presidente sudafricano Frederik de Klerk, e alla fine dell’illegalità per l’Anc. Aveva 71 anni.

Nel 1993 Nelson Mandela è insignito del Premio Nobel per la pace (insieme a de Klerk, che aveva partecipato alle trattative per l’abolizione dell’apartheid); Mandela in precedenza aveva già ricevuto il Premio Sakharov per la libertà di pensiero nel 1988 e il Premio Lenin per la pace nel 1990. Inoltre, Nelson Mandela è una delle due persone di origini non indiane (l’altra è Madre Teresa) ad aver ottenuto, nel 1990, il Bharat Ratna, il più alto riconoscimento civile attribuito in India.

Una giornalista di Johannesburg, Sahm Venter, dopo la liberazione di Mandela andò con altri colleghi e con lo stesso leader dell’Anc a visitare quella che era stata la cella dove “Madiba” – il soprannome con cui veniva anche chiamato e che derivava dalla sua tribù di appartenenza – era stato rinchiuso: “Ci raccontò che quando si distendeva per dormire, la testa toccava un’estremità della stanza e i piedi l’altra. Gli chiesi cosa facesse, per tanto tempo, ogni giorno. Leggevo e scrivevo lettere, mi rispose. In seguito, lavorare alla raccolta delle sue lettere mi ha aiutato a capire fino a che punto la parola scritta rappresentasse, per lui, la libertà”. Infatti, Sahm Venter è anche curatrice delle “Lettere dal Carcere”, la raccolta di missive scritte da Mandela nei suoi anni di prigionia (pubblicata in Italia da Il Saggiatore). In una di queste lettere si legge: “Il compito principale che abbiamo è (…) l’istituzione di un governo democratico in cui tutti i sudafricani, indipendentemente da posizione sociale, colore o convinzioni politiche, vivranno fianco a fianco in perfetta armonia”.

Eletto presidente della Repubblica, istituisce una commissione per indagare sulle violazioni dei diritti umani  durante l’apartheid e per promuovere la pacificazione nazionale tra le diverse comunità

Nel 1994, in occasione delle prime elezioni multietniche del Sudafrica aperte anche alla popolazione nera, è stato eletto Presidente della Repubblica (da allora il suo partito, l’African National Congress, è rimasto ininterrottamente al governo del Paese), restando in carica fino al 1999.

Gli anni della presidenza di Mandela, e del primo governo multietnico nella storia del Sudafrica, sono anni di grande cambiamento per lo Stato africano. Nel 1995 viene istituita una commissione (Truth and Reconciliation Commission) per investigare sulle violazioni dei diritti umani che c’erano state durante l’apartheid e per promuovere la pacificazione nazionale tra le diverse comunità. Nonostante la dura oppressione, con le leggi sulla segregazione, e la propria lunga detenzione, “Madiba” rinunciò a una strategia violenta e vendicativa favorendo invece un processo di riconciliazione e pacificazione. Sotto la presidenza di Nelson Mandela il Sudafrica vede politiche di redistribuzione dei beni, allo scopo di risolvere una situazione che aveva penalizzato da sempre i neri, che costituivano la maggioranza della popolazione.

La battaglia contro multinazionali farmaceutiche dopo la legge, voluta da Mandela, che permetteva al governo sudafricano di importare e produrre medicinali per la cura dell’Aids a prezzi sostenibili

Durante gli anni di governo, Mandela fronteggerà pure una battaglia in tribunale contro una quarantina di Case farmaceutiche: le multinazionali lo avevano portato in giudizio dopo la promulgazione, da parte di Mandela, nel 1997, del Medical Act, una legge che permetteva al governo sudafricano di importare e produrre medicinali per la cura dell’Aids a prezzi sostenibili. La battaglia legale è stata poi sospesa in seguito alle pressioni internazionali sulle Case farmaceutiche in questione.

Intanto, nel marzo 1996 ci fu il definitivo divorzio con Winnie Madikizela, la sua seconda moglie (poi Mandela si sposerà, anziano, una terza volta), a sua volta attivista contro l’apartheid che aveva sostenuto Nelson durante gli anni di carcere. La loro separazione era già avvenuta nel 1992, alimentata pure da forti contrasti politici.

Nel 1999 decise di non ricandidarsi alla presidenza del suo Paese. E’ stato un simbolo dei diritti umani, ha perseguito una dura lotta per la giustizia sociale ma poi anche per la “riconciliazione”

E sempre nel 1996 viene approvata una nuova costituzione democratica. L’anno successivo Mandela si ritira dalla posizione di leader dell’Anc. Nel 1999, più che ottantenne, non si candida una seconda volta alla presidenza del Sudafrica. Nonostante il ritiro dalla politica, “Madiba” ha continuato a battersi per la giustizia sociale e per la pace (perseguendo anche una riconciliazione del popolo sudafricano che fosse però giustamente preceduta dal riconoscimento della verità sui crimini commessi durante il regime contraddistinto dall’apartheid, senza escludere peraltro anche eventuali misfatti commessi da alcuni dirigenti dell’Anc).
Va anche ricordato che i mondiali di calcio assegnati al Sudafrica (poi disputati nel 2010) furono da lui fortemente voluti. Oggi la casa in cui Mandela abitò a Soweto (un’area urbana della città di Johannesburg, nella quale abitavano esclusivamente cittadini non-bianchi, dove adesso coesistono quartieri residenziali abitati da appartenenti al ceto medio – e persino qualche villa di personaggi popolari, magari nel campo della musica o del cinema – e baraccopoli che danno rifugio a persone indigenti) è sede del “Mandela Family Museum”.

Nelson Mandela, cristiano di confessione metodista, morì il 5 dicembre 2013 nella sua casa a Johannesburg all’età di 95 anni. Già da tempo era un simbolo dei diritti umani e della giustizia sociale, anche durante la sua lunga detenzione: l’11 giugno 1988 al Wembley Stadium di Londra fu organizzato un concerto pop/rock della durata di undici ore per chiederne la scarcerazione, trasmesso in diretta televisiva in tanti Paesi del mondo. Mentre nel  giugno 2008, sempre a Londra, in Hyde Park, si è svolto un grande concerto per ricordare i suoi novant’anni (che avrebbe compiuto il mese dopo), il suo impegno contro il razzismo e il suo contributo alla lotta contro l’Aids. E in quell’occasione Nelson Mandela volle essere presente, accolto dall’applauso di circa 50.000 persone.

Un punto di riferimento anche per i giovani, a fronte di altre “effimere icone” oggi “di moda”

Oggi molti giovani cercano i loro “punti di riferimento” magari in qualche “inluencer da social”. Sarebbe bello se riscoprissero simboli come Nelson Mandela, persone che hanno vissuto e combattuto per idee di progresso, di convivenza nel rispetto reciproco, di autentica democrazia, e che hanno pagato di persona per questi ideali. Oggi anche da rappresentanti istituzionali o della cultura sentiamo indicare ai giovani come “esempi da seguire” e “riferimenti da ricordare” personaggi attuali, magari del mondo politico e/o economico. Gli esempi da seguire sono ben altra cosa! Beh, comunque a ciascuno i suoi “eroi”.

E concludiamo con una frase celebre di Mandela sulle potenzialità dello studio e della formazione: “L’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può diventare medico”. Ma forse una frase ancora più pregnante è la seguente: “Non mi giudicate per i miei successi ma per tutte quelle volte che sono caduto e sono riuscito a rialzarmi”.

Andrea Toscano

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