Avranno lo stipendio bloccato almeno fino al 2021. Campa cavallo che l’erba cresce. Altro che entrare di ruolo. Sarà come lavorare ancora da supplenti.
Dal punto di vista economico, infatti, i (probabili) 150mila nuovi assunti dal 2015, continueranno a guadagnare come se fossero precari. Eppure l’art. 3 della Legge di Stabilità prevede uno stanziamento di un miliardo per il 2015 e di tre miliardi nei successivi, proprio per coprire questa manovra storica.
Lo sottolinea Marcello Pacifico (Anief-Confedir) che ricorda anche un piccolo irrilevante particolare: le condizioni di invarianza finanziaria per le assunzioni sono cadute. I sindacati che nel 2011 firmarono questo accordo tornino sui loro passi, lasciando così solo lo Stato italiano a farsi condannare dal tribunale europeo per discriminazione nei confronti di così tanti docenti retribuiti con buste paga sotto l’inflazione e sempre più vicine alla soglia di povertà.
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Secondo il piano del Governo, infatti, poiché la immissione in ruolo avverrà in regime di invarianza finanziaria, tutti i nuovi assunti almeno fino al 2021 non potranno accedere ad alcun aumento stipendiale legato al merito, rimanendo così fermi ad una busta paga di circa 1.200 euro, che rimane tra le più basse dell’area Ocde.
Perciò l’Anief ha chiesto al Parlamento di emendare questa norma, poiché il regime di invarianza finanziaria non sussiste più, dal momento che all’interno della stessa Legge di Stabilità, all’art. 3, è previsto uno stanziamento di un miliardo per il 2015 e di tre miliardi nei successivi, proprio per finanziare le 150mila assunzioni (con un parte residua invece finalizzata al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro).
“Si tratterebbe di una decisione logica – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché sono ormai superate le condizioni, grazie all’attuale finanziamento previsto dal Governo per le assunzioni, che nell’agosto del 2011 portarono a far firmare Cisl, Uil, Snals e Gilda un contratto, presso l’Aran, che permise l’attuazione delle assunzioni in cambio della cancellazione del primo gradone stipendiale. Sebbene spacciato come un comprensibile prezzo da pagare, quell’accordo si è rivelato una vera beffa: sommato al blocco contrattuale, avviato per la scuola nel 2009, ha costretto quei docenti a rimanere anche per un decennio fermi allo stipendio base. Si salvarono solo quelli con un servizio di pre-ruolo superiore a 12 anni”.
“Oggi la storia si ripete – continua Pacifico – con il Governo che si accinge a cancellare gli scatti e ad introdurre degli avanzamenti di carriera di 60 euro mensili, riservati al 66% dei docenti presenti in ogni istituto, da assegnare ogni tre anni e comunque a partire dal 2018. Una data che però per i neo-assunti è posticipata al 2021.”
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Conclude Pacifico: “Ma stavolta non dovrà avvenire così, perché le risorse ci sono. Non c’è dunque alcun motivo per continuare ad invocare le assunzioni in regime di invarianza finanziaria”.
Il giovane sindacato ricorda, inoltre, che la modalità di procedere a perenne danno dei precari, anche quando di lungo corso, e dei neo-assunti è già da tempo nel mirino della giustizia internazionale: questo personale va equiparato a tutti gli effetti ai colleghi assunti da più anni. Non a caso, quella di adottare delle norme peggiorative per i precari che si accingono ad essere immessi in ruolo, è una procedura che è stata ritenuta illegittima anche attraverso la sentenza Huet contro il Governo francese: il trattamento, giuridico ed economico, deve essere il medesimo. Semplicemente perché si tratta di dipendenti che svolgono le stesse mansioni, peraltro per lo stesso datore di lavoro.
“Chiediamo pertanto pubblicamente a quei sindacati che nel 2011 hanno sottoscritto l’accordo penalizzante per i neo-assunti, privandoli del primo scatto stipendiale, – dice ancora il presidente Anief – di cancellare quel contratto: non ci sono infatti più le condizioni per la sua adozione. In questo modo si schiererebbero finalmente dalla parte dei lavoratori che dovrebbero tutelare. Lasciando solo lo Stato italiano a farsi condannare dal tribunale europeo per discriminazione nei confronti di decine e decine di migliaia di docenti, i quali dopo essere stati lasciati illegittimamente precari vengono ancora una volta vessati, dando loro per tanti anni degli stipendi fermi sotto l’inflazione e sempre più vicini alla soglia di povertà”.
Assunti sì, ma non trattati ancora come precari. Il messaggio è chiaro.
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