Attualità

Nessuna democrazia funziona, se non funziona (e non è libera) la scuola

Può un popolo ignorante votare con coscienza? O meglio, può votare senza lasciarsi condizionare dalla demagogia, dalla faciloneria, dalla spregiudicatezza di questo o quel leader politico? Può farcela se, oltre al lavoro, pensa solo a calcio, tatuaggi, sballo e divertimento?

Si fa strada, fra i nostri studenti migliori, la sfiducia totale nella democrazia, proprio quando stanno per votare per la prima volta nella loro vita. I docenti si sentono dire da loro che la democrazia non funziona; che non può funzionare, perché l’elettore medio non conosce né storia né geografia né scienze, non legge (e nemmeno sfoglia) nessun giornale, non apre mai nessun libro, usa internet solo per pavoneggiarsi sui social, non s’occupa di politica se non per ripetere frasi fatte e slogan mal orecchiati. Oggi è difficile convincere i giovani migliori (i pochi che dopo il diploma leggono, s’informano e sanno ragionare) che la democrazia, malgrado le sue imperfezioni, è il miglior sistema possibile, e che un’autocrazia sarebbe molto peggiore.

Il paradosso di Churchill

Winston Churchill disse nel 1947 che «la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora». E aveva ragione. Solo la democrazia — se funziona a dovere — obbliga il Potere a controllare i propri comportamenti: infatti, in una democrazia efficiente, un politico, che oggi promettesse mari e monti e domani facesse il contrario, rischierebbe seriamente di non esser mai più rieletto… a patto di trovarsi di fronte un elettorato competente, che votasse di testa e non di pancia, che facesse dipendere il proprio voto dai fatti e non dalle bandiere, che conoscesse la storia (a partire almeno da quella dell’antica Grecia, per finire almeno con quella del secolo XX).

L’elettorato britannico di 75 anni fa era così. Prova ne sia il fatto che lo stesso Churchill, sconfitto Hitler e salvata la patria, non venne rieletto Primo ministro del Regno Unito alle elezioni del 26 luglio 1945, due mesi dopo il trionfo: i sudditi di sua maestà britannica votavano sulla base di valutazioni politiche, non di emozioni o simpatie.

L’Italia sta dimenticando la democrazia…

E l’Italia di oggi? Il nostro è un Paese dove le persone che votano sono sempre meno. Inoltre hanno in gran parte memoria molto corta: rieleggono per decenni le stesse facce, continuando a consegnarsi a personaggi che li hanno più volte traditi, presi in giro, e che a volte hanno un curriculum giudiziario non da poco. Non stiamo dicendo nulla di nuovo: basta esser vissuti nello Stivale negli ultimi 60 anni per poterlo testimoniare.

In alcune zone d’Italia spesso quei voti sono clientelari, di scambio; ma non possono esserlo tutti. In massima parte si vota alla carlona, «per cambiare», per dire «proviamo con quest’altro», perché uno ha detto le battute giuste in tv mentre l’altro pare più antipatico. Nessun approfondimento, nessuna convinzione profonda, nessuna visione della società, nessuna concezione del bello, del vero e del giusto sembra più animare i nostri concittadini. Del resto, gli eletti che ci ritroviamo ogni volta sono lo specchio degli elettori.

…e se stessa

Come può l’Italia essersi ridotta così? “Figlia e madre di tutte le terre” la definì Plinio il Vecchio. Tale continuò ad essere attraverso il Rinascimento, fino ad oggi: ma la nazione che custodì e ricreò la cultura mondiale, oggi è l’ombra di se stessa. Siamo un popolo che non sembra saper più di essere, preso tra mille sirene, tra mille suggestioni, tra mille reti. Se n’è accorto anche un politico famoso, attualmente candidato, che non citeremo (anche perché, ministro pure lui, in anni recenti, di un dicastero importante, non potrebbe proprio chiamarsi estraneo alla situazione attuale).

Non siamo forse reduci da 42 anni di “canili” televisivi in gara per lo share? Non abbiamo vissuto 30 anni di politica scolastica volta non a potenziare la scuola, ma a ridimensionarla? Non siamo testimoni di continui tagli truccati da “riforme” (come quella Berlusconi/Tremonti/Gelmini nel 2008), mai abolite da tutti i successivi vincitori di elezioni? Avevano davvero torto quanti videro in queste “riforme” (come quella del governo Renzi nel 2015) tentativi di sottomettere i docenti? Non è forse uno di questi tentativi la progressiva erosione della democrazia sindacale (col divieto di assemblea in orario di servizio per i sindacati non maggioritari)?

La scuola mira ancora al “pieno sviluppo della persona umana”?

Certo tutto ciò non permette più alla scuola italiana di esser ciò che la Costituzione vuole: l’istituzione finalizzata ad eliminare gli ostacoli di ordine culturale (e quindi sociale) «che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3).

Cos’è il “il pieno sviluppo della persona umana”, se non la capacità di elaborare una propria visione autonoma, un proprio progetto di bene comune, e la coscienza di vivere in una comunità, anziché in una giungla neoliberistica in cui “homo homini lupus” e in cui conta solo aver più del proprio prossimo?

Riavvolgere il nastro del trentennio neoliberista

Ebbene, se gli elettori di oggi non credono più nella democrazia, forse dobbiamo porci qualche domanda sull’operato della classe dirigenziale e politica degli ultimi decenni, e cominciare a pretendere che si facciano da parte tutti quanti sono stati ministri o sottosegretari di Stato anche solo una volta.

Alvaro Belardinelli

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