Rimane in piedi, anzi si rafforza, l’anomalia tutta italiana sul fronte dello scarso e caro accoglimento nelle strutture comunali dei bambini da tre mesi a tre anni: da un’indagine del Servizio politiche territoriali della Uil, su 21 città capoluogo di Regione, emerge che una famiglia composta da genitori che hanno un reddito di 36.000 euro annui da lavoro dipendente (21.000 un coniuge e 15.000 l’altro), un reddito Isee di 17.812 euro, con due figli a carico, di cui uno minore di tre anni che frequenta il nido a tempo pieno (circa 8 ore), deve spendere per ques’ultimo un’enormità: per la frequenza e la mensa usufruita dai figli è la media nazionale è di 317 euro mensili (3.170 euro l’anno) pari al 9,9% del reddito netto familiare.
E siccome stiamo parlando di una media c’è anche chi spende molto di più: come a Bolzano, dove frequentare il nido pesa, mensilmente, addirittura 480 euro (pari al 14,9% sul reddito familiare. Hanno da che lamentarsi anche ad Aosta, dove si chiede il 13,2% del reddito (424 euro mensili); a Firenze il 13% (419 euro mensili); a Torino il 12,9% (416 euro mensili) e a Potenza il 12,7% (409 euro mensili). Decisamente più alla portata delle famiglie le rette chieste a Catanzaro, dove le spese per il nido incidono mensilmente sul budget familiare, sempre in media, per il 4,3% (138 euro); a Napoli per il 4,7% (150 euro); a Roma per il 6,2% (199 euro); a Cagliari per il 7% (224 euro); a Bari per il 7,1% (227 euro).
E da una prima e parziale proiezione, per il prossimo anno scolastico, il 2011-2012, emergono nuovi aumenti: “su un campione di 10 capoluoghi – si legge nel rapporto Uil – sono 4 le città, Torino, Genova, Bologna, Ancona, che hanno aumentato le rette, mentre una, Perugia, pur avendo diminuito del 7,7% la retta dell’asilo nido (da 271 euro dello scorso anno ai 250 euro di quest’anno), ha aumentato del 15% la retta della mensa scolastica (da 40 euro a 50 euro)”.
In particolare, a Torino il sistema della scuola dell’infanzia fa registrare un aumento per il prossimo anno scolastico, in media, del 4,1% (retta asili 324 euro mensili e mensa 109 euro mensili); a Genova del 17,4% (retta asili 246 euro e mensa 70 euro mensili); a Bologna del 15,4% (retta asili 258 euro mensili e mensa 110 euro mensili); ad Ancona del 3,2% (retta asili 297 euro mensili e mensa 94 euro mensili). Le altre cinque città campione – Milano, Bolzano, Trento, Trieste, e Firenze – hanno mantenuto le stesse rette.
Secondo Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, “gli aumenti tariffari, così come l’alto costo delle rette per la scuola dell’infanzia, che sono solo in parte dovuti ai tagli dei trasferimenti agli enti locali, si ripercuotono sulla tenuta del potere di acquisto dei salari. Senza considerare, inoltre, che questo problema, insieme all’ancora non sufficiente diffusione della rete dei servizi per l’infanzia, ha delle pesanti ripercussioni dirette ed indirette anche sull’occupazione in generale e, in particolare di quella femminile. C’è bisogno quindi – conclude Loy – di un forte contenimento delle rette e delle tariffe locali in generale, e ciò si può e si deve fare razionalizzando la spesa pubblica a partire dai costi della politica”.
Al problema delle tarffe “salate” c’è poi sempre da aggiungere quello degli accessi: ad oggi, malgrado l’Ue abbia indicato l’obiettivo del 33% di bambini con meno di tre anni da accogliere nei nidi pubblici o accreditati dai Comuni, in Italia l’offerta media non raggiunge il 15%. Con nessuna Regione del Sud che supera il 10%.