Gli alunni che studiano a casa con il supporto dei genitori, senza mai recarsi a scuola, vanno valutati secondo normative diverse da quelli che frequentano regolarmente le scuole pubbliche. A sostenerlo è il Tar della Liguria, che ha respinto il ricorso presentato dai genitori di un alunno contro il ministero dell’Istruzione, confermando la bocciatura e la non ammissione alla classe quinta della scuola primaria di un istituto comprensivo della regione, già decisa dai docenti nei confronti di un alunno che aveva aderito alla cosiddetta istruzione parentale.
I genitori sostenevano che gli alunni della scuola primaria “dovrebbero accedere alla classe successiva anche in presenza di livelli di apprendimento parziali, essendo la bocciatura un’evenienza del tutto eccezionale, in ragione della sua valenza punitiva e del trauma psicologico”.
I giudici amministrativi della Liguria, invece, hanno stabilito che alla scuola parentale non è applicabile la normativa secondo la quale gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado “anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”.
Il Tar ligure, scrive l’Ansa, ha anche sottolineato che nel corso dell’anno scolastico, l’istituzione pubblica o paritaria è tenuta ad attuare strategie mirate al recupero delle lacune dell’alunno.
Tale azione formativa, nel caso della scuola in presenza “è possibile perché gli insegnanti interagiscono quotidianamente con lo studente”.
Ma tale azione didattica non vale per l’istruzione parentale, in cui “le scelte organizzative e didattiche sono rimesse all’esclusiva cura dei genitori o precettori privati”.
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