Non per tutti, però. Solo per due terzi del corpo docente. Un terzo degli insegnanti, poco competenti (ma l’incompetenza è cosa da dimostrare), non usufruirà degli aumenti. Con un notevole risparmio dello Stato rispetto agli scatti automatici.
Invece la sbandierata motivazione è quella di incentivare i docenti che non vedranno aumentare il loro stipendio a impegnarsi maggiormente. E come vengono chiamati nel documento questi professori “sfortunati”? Con una espressione attenuata che fa sorridere: docenti mediamente bravi. “I docenti mediamente bravi, per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona”.
Insomma l’avverbio della Buona scuola è “mediamente”, cioè in media. Ma come si fa a essere bravi in una via di mezzo? Bravo è bravo, non accetta attenuazioni. Eppure nella scuola ci sono i docenti mediocremente bravi, quelli dominati dalla mediocritas, nel senso latino del termine, che non ha una connotazione negativa, ma che, nella fattispecie, esprime una sorta di punto intermedio tra l’incompetenza e l’eccellenza.
Riflettendo su questi docenti, un’interessante proposta viene avanzata dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, che condanna apertamente questa analisi del Ministero. “Il meccanismo è davvero iniquo. E controproducente, se si pensa che ne risulteranno mortificati molti insegnanti che lavorano dignitosamente: non è infatti pensabile che un terzo del corpo docente sia fatto tutto di incapaci e di assenteisti. Figuriamoci quanto appeal avrebbe la prospettiva di andarsi a cercare le scuole peggiori, per poter guadagnare, dopo tre anni, sessanta euro in più”.
Inoltre le scuole a rischio necessitano non di mediocri, bensì, come è accaduto negli Usa, di docenti bravi, anzi bravissimi: “La cosa, si dice, migliorerebbe anche il livello di tali istituti. Veramente, come si fa in altri Paesi, e come suggerisce il buonsenso, per migliorare le scuole bisognerebbe mandarci non i docenti “mediamente bravi”, ma quelli migliori (e per questi è giusto prevedere una congrua indennità). Inoltre, perché la stessa scommessa non dovrebbero tentarla anche gli insegnanti scadenti? Si otterrebbe così un risultato addirittura opposto a quello voluto”.
Il Gruppo di Firenze propone allora un sistema alternativo: “Per prima cosa non ci devono essere quote prefissate per la progressione stipendiale. Inoltre è sbagliato eliminare l’anzianità come criterio retributivo. Il numero di anni di servizio non è una garanzia assoluta di miglioramento, ma non si può per questo negare il valore dell’esperienza, soprattutto se si lavora con impegno e in un ambiente scolastico che favorisce la crescita professionale. Si può però evitare il completo automatismo della progressione stipendiale affiancando all’anzianità il correttivo del demerito. Per il demerito grave (sul piano delle capacità o su quello della deontologia professionale) ci deve essere la possibilità di allontanare dall’insegnamento i docenti inadeguati, come abbiamo più volte ribadito. Nei casi meno gravi, invece, soprattutto per ripetute mancanze ai propri doveri professionali (nei confronti di alunni, colleghi, genitori), si può prevedere il mancato scatto stipendiale o una sua decurtazione. Sarebbe anche da valutare una parallela incidenza del demerito sul punteggio in graduatoria”.
Con un sistema di questo tipo avremmo di fatto un riconoscimento del merito di chi lavora con serietà, cioè della grande maggioranza dei docenti, finora trattata allo stesso modo di una minoranza – probabilmente modesta – che non fa altrettanto. Tutto questo implica naturalmente una forma di valutazione periodica che, con le dovute garanzie, certifichi un livello sufficiente o meno di professionalità.
A questo proposito, speriamo che si colga l’occasione per definire finalmente un codice di comportamento degli insegnanti; dai quali, anzi, ci auguriamo che vengano sollecitazioni e proposte in merito. Inoltre, il superamento di un determinato numero di “soglie stipendiali” potrebbe costituire uno dei requisiti necessari, insieme ad altri che attestino le competenze richieste, per l’accesso selettivo a ruoli di coordinamento, di progettazione o di supporto, e anche a distacchi presso le facoltà universitarie per formare i futuri docenti. In conclusione, riteniamo che un sistema di questo genere, oltre a essere molto più equo di quello prospettato nella “Buona Scuola”, sia anche in grado di favorire una maggiore consapevolezza delle responsabilità inerenti al proprio ruolo e a prevenire quindi la maggior parte dei comportamenti poco professionali.
Scatti d’anzianità uniti al criterio del demerito e valutazione periodica dei docenti. Ma chi dirà mai che quel tale insegnante non sa fare il suo lavoro? Nella Pubblica Amministrazione italiana non ha mai funzionato così, e figuriamoci nella scuola. Sperare comunque è lecito. Per una scuola davvero Buona.
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