Il vizio e vezzo tutto italiano non risparmia proprio nulla.
Parlo della triste prassi di un pensiero negativo che impedisce, in molti contesti, di immaginare e costruire soluzioni alternative ai nostri mali.
Poiché, ad esempio, si sospetta che qualcuno possa praticare la logica degli “amici degli amici”, nella vita delle scuole, nella politica, nell’economia ecc., allora si ritiene giusto ed equo impedire a coloro che, invece, sono corretti di assumersi nuove responsabilità. Si nega cioè il diritto/dovere del pensiero positivo.
Anzi, si teme l’etica della responsabilità, se ne ha paura, perché se fosse riconoscibile e riconosciuta cadrebbe il teorema del “tutto contro tutti”.
L’abbiamo visto anche per le Olimpiadi di Roma, appena bocciate dalla sindaca Raggi: poiché si teme che possano diventare un’altra “mafia capitale” meglio non fare niente.
Il non-fare meglio del fare, dunque.
Così si fa di tutta un’erba un fascio, ma in negativo. Domina il negativo.
Cosa dice il profilo dell’autonomia responsabile: “tutto ciò che non è vietato è permesso”. Invece si preferisce il suo rovescio: “tutto ciò che non è permesso, è vietato”. Ci lamentiamo del centralismo e della burocrazia, ma, sotto sotto, ci fanno comodo. Una comoda maschera.
Il peccato originale? L’assenza, tutta italica, della logica ispettiva, fatta di verifica e di controllo, fatta di chiarezza delle leggi, cioè di certezza del diritto e della pena.
Invece di questa certezza si preferisce una prescrittivitá burocratica che rasenta l’immobilismo, per poi gridare contro tutto e contro tutti. Facile rifugiarsi nella comoda invettiva, invece di impegnarsi in prima persona a cambiare le cose in meglio.
Al fondo di questo gridare? L’etica della responsabilità, od il facile scaricabarile verso chiunque intenda proporre cose nuove e giuste in modo corretto?
Con don Milani: “a che serve tenere le mani pulite se si tengono in tasca?”.
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