Una mamma negazionista del Covid, e dunque di tutto ciò che dietro ad esso è stato impiantato: dai tamponi, alle mascherine, ai vaccini, ai controlli, per evitare i contagi e scongiurare anche i decessi, non ha voluto che il figliolo effettuasse il tampone per il rientro a scuola e l’Asl, partendo dal principio che il rifiuto equivale al dubbio di caso positivo, ha fatto chiudere la classe, imponendo l’isolamento per tutti gli scolari.
È quello che successo a una quinta elementare di Spoleto, che non potrà rientrare in classe, come previsto dalla Usl Umbria 2, per causa della mamma di un ragazzo che non ha voluto che gli venisse effettuato il tampone, previsto invece per alunni e docenti dell’intera scuola.
Da qui la decisione dell’Asl che domenica pomeriggio ha comunicato a tutti gli altri genitori che i bambini oggi non sarebbero rientrati in classe perché il rifiuto al tampone – e quindi una eventuale negatività non accertata – è equiparato nel dubbio a un caso positivo.
Sembra tuttavia che la faccenda si starebbe ricomponendo per la pressione che le altre mamme starebbero esercitando sulla signora negazionista, ma il fatto in sé testimonia l’estrema fragilità in cui ci stiamo ritrovando, considerato che i tamponi previsti dall’Asl servivano a certificare le condizioni di salute delle intere scolaresche per consentire il rientro del lunedì in piena sicurezza. Un solo rifiuto dunque, secondo la normativa, equivarrebbe a fare scattare il dubbio di una presunta positività al Covid e dunque la possibilità di un contagio diffuso nei confronti di chi è venuto a contatto col soggetto.