I “compiti per le vacanze” sono un ossimoro, una contraddizione in termini, un assurdo logico (e pedagogico), giacché le vacanze sono tali, o dovrebbero esserlo, proprio perché liberano dagli affanni feriali: vacanza, in latino vacantia, da vacare, ossia essere vacuo, sgombro, vuoto, senza occupazioni.
Nessuna categoria di lavoratori accetterebbe di prolungare nel tempo libero, e men che mai di svolgere durante le ferie, compiti professionali imposti. Ma è del tutto normale che a una simile pretesa debbano assoggettarsi gli scolari: “perché si esercitino e non dimentichino tutto quello che hanno imparato”. Evidentemente si ritiene che gli apprendimenti avvenuti durante l’anno scolastico (soprattutto con lo studio domestico) siano davvero ben poco significativi; ed è proprio così: pare accertato che la «permanenza» delle informazioni apprese attraverso l’insegnamento e lo studio domestico non superi i tre mesi, e che il 70% delle conoscenze sia oggi acquisito al di fuori della scuola; in altre parole: si impara sempre meno a scuola e si dimentica sempre più in fretta ciò che a scuola si impara.
Perseverare nell’errore se non diabolico è, quanto meno, assurdo.
Purtroppo è proprio ciò che accade nella scuola, così all’incubo feriale («Hai fatto i compiti?», «… prima fai i compiti», «Non hai ancora fatto i compiti…») si aggiunge quello festivo.
Gli insegnanti fanno finta di credere (davvero edificante) che gli alunni amministrino razionalmente i compiti delle vacanze, e si affliggano con metodo, ripartendo il lavoro complessivo nei tanti giorni a disposizione (destinati alle occupazioni più libere e gradite), in un penoso esercizio di quotidiana mortificazione. Ma sanno bene che così non è (salvo casi di grave disturbo della personalità).
Gli studenti più astuti, volitivi, capaci esauriscono nei primi giorni tutti i compiti assegnati, dedicandosi poi con sollievo al godimento della meritata libertà – sempre che il “carico” non sia tale da rovinare tutti i giorni a disposizione (come spesso accade).I meno saggi, i più pigri, i più svogliati rinviano quotidianamente il supplizio, che in questo modo li assilla per tutta la durata delle agognate vacanze, «riducendosi agli ultimi giorni», durante i quali si impegnano in un tour de force che difficilmente esonera i familiari; quei genitori che li hanno tormentati durante tutto il periodo della vacanza (le urla e le suppliche che si intensificano con l’approssimarsi dell’inizio delle lezioni non risparmiano neppure le spiagge meno frequentate), tormentati a loro volta dalle magistrali ingiunzioni.
Naturalmente per i più disgraziati la consueta reprimenda.
Ma che tanto disagio, per non dire sofferenza (pianti, litigi, punizioni…) serva a qualche cosa, nessuno si è mai peritato di verificarlo piccolo inciso: le “vacanze” dovrebbero essere degli studenti, ma sono a “godute” solo dai docenti (ben oltre il periodo di “ferie” cui hanno diritto).
Si ritiene pertanto opportuno suggerire il ricorso a misure di protezione del minore, e autodifesa della famiglia, a partire dalla consegna ai docenti di una “dichiarazione del diritto alla vacanza” che potrebbe essere formulata in questo modo:
“Con la presente informo che mio figlio non svolgerà i compiti assegnati per le vacanze,
– perché come tutti i lavoratori (e quello scolastico è un lavoro oneroso e spesso alienante) ha “diritto al riposo e allo svago” – diritto inalienabile sancito dall’Articolo 24 della dichiarazione dei diritti dell’uomo;
– perché le vacanze sono degli studenti e non (solo) dei docenti, ai quali nessuno si permetterebbe di infliggere un simile castigo;
– perché così potrà finalmente dedicarsi, senza l’assillo di magistrali incombenze, a occupazioni creative e ricreative, dalla scuola trascurate o ignorate;
– perché insieme potremo fare piccole e grandi cose, divertenti, appassionanti, quelle che l’impegno scolastico (protraendosi a dismisura oltre l’orario di lezione) non permette;
– perché starà con gli amici al mare, in montagna, nella natura, all’aria aperta dopo essere stato recluso per ore, giorni, mesi (interminabili) in aule anguste, disadorne, quando non addirittura squallide, asfittiche (vere e proprie aree di compressione psichica);
– perché leggerà per piacere e non per dovere;
– perché giocherà moltissimo;
– perché voglio fare il genitore e non l’insegnante di complemento, il carceriere, l’aguzzino.
La responsabilità di tale decisione è solo mia e l’assumo in quanto legittimo esercente della potestà famigliare, perciò non potrà essere motivo di qualsivoglia azione o provvedimento, meno che mai disciplinare”.
Non scholae, sed vitae discimus. Seneca