No ai finanziamenti alle scuole private

Lo scorso 26 maggio 86.000 cittadini bolognesi si sono recati alle urne, collocate spesso in luoghi impossibili, per esercitare il proprio diritto di partecipazione alle scelte dell’amministrazione attraverso un referendum comunale.
Il 59% di questi ha espresso in modo inequivocabile il proprio parere sull’uso  delle risorse pubbliche in campo scolastico, votando affinché il milione di euro destinato ogni anno alle scuole dell’infanzia paritarie a gestione privata, che sono confessionali e a pagamento, venisse impiegato per garantire l’accesso  alle scuole comunali o statali, gratuite e laiche, spesso negato per mancanza di posti disponibili.
E’ stata una grande esperienza di partecipazione e democrazia. Nonostante ciò i gruppi consiliari  PD, PDL, Lega e Centro Democratico  hanno votato il 29 luglio un odg che conferma i finanziamenti alle scuole private, svuotando il significato del referendum e disconoscendo la volontà dei cittadini. Il voto del Consiglio è una ferita che deve essere sanata per vari motivi.
La prima ferita è quella alla democrazia, perché non si può disconoscere impunemente la volontà  dei cittadini, quando questa è difforme dall’orientamento del ceto politico, e poi lamentare che questi si allontanino dagli stessi  partiti e dagli strumenti  fondamentali della democrazia.  Basti pensare che il numero dei partecipanti alle primarie del PD dell’8 dicembre è stato solo di 42.000 cioè meno della metà dei votanti al referendum, eppure le primarie sono state valutate come un grande esercizio democratico.  E non si può non vedere che le manifestazioni che si sono svolte in tutta Italia e anche a Bologna invitando a gran voce la classe dirigente del paese al “tutti a casa” sono in realtà una conseguenza preoccupante dell’idea della classe dirigente che sia sufficiente il voto ogni 5 anni per governare democraticamente una società. Ma la previsione costituzionale di momenti di democrazia diretta tramite i referendum non è un accidente. Anzi, proprio in momenti di debolezza della politica istituzionale è sempre più importante il ricorso alla volontà diretta degli elettori.
La seconda ferita è stata subita dalla scuola pubblica, da anni abbandonata, diffamata e privata sempre più delle risorse indispensabili per garantire il diritto universale ad un’istruzione di qualità.
I cittadini bolognesi e in particolare quelli delle zone più popolari dove la crisi sta mordendo con più forza hanno capito perfettamente che il sostegno alle scuole private apre un’autostrada al disimpegno pubblico e tende a scaricare su di loro i costi scolastici, trasformando un diritto costituzionale in un servizio a pagamento, accentuando in tal modo le diseguaglianze fra i cittadini e il disagio economico e sociale di un numero crescente di famiglie.  Non è un caso che le percentuali più alte (fino al 76.4%) di voto a favore dell’ipotesi A siano venute dai seggi dei quartieri Navile, San Donato e Reno.
La terza ferita riguarda la credibilità delle istituzioni che, a partire dal Sindaco, avevano affermato, prima e dopo il referendum, di voler istituire tavoli di confronto sulla questione della scuola dell’infanzia di cui non si è avuta più alcuna notizia da allora.
L’esito del referendum e la sconfitta dei tanti sostenitori del finanziamento pubblico alle scuole private ha prodotto un fenomeno di rimozione preoccupante. Sta per iniziare un nuovo anno e non è accettabile che si continui così. Noi speriamo che il 2014 porti a un ravvedimento della nostra classe dirigente e che venga sanata questa ferita alla tradizione democratica della nostra città.
Comitato art. 33 promotore del referendum
dal Corriere di Bologna, 9 gennaio 2014
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