Sono completamente d’accordo con la risposta data da Luigi di Maio al ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti circa la soppressione del Crocifisso nelle aule scolastiche, e la sua sostituzione con cartine geografiche o con la Costituzione.
“Sono cattolico, ha replicato Di Maio, ma felice di vivere in uno stato laico e non credo che il Crocifisso sia il problema della scuola”.
L’intervento del ministro è stato definito inopportuno da buona parte dello schieramento parlamentare, considerato che la questione dei Crocifissi nelle aule pubbliche è stata risolta dai pronunciamenti del Consiglio di Stato, nel 2006 (“idoneo ad esprimere l’elevato fondamento di valori civili”), e dalla Grand Chambre, in sede europea, nel 2011 (“non è un simbolo discriminatorio ma richiama valori civilmente rilevanti”).
Va aggiunto, inoltre che, nelle parole di Fioramonti, sono rintracciabili due sottintesi.
Primo. Il ministro ritiene che un simbolo religioso, qual è il Crocifisso, possa essere discriminante per individui di altre religioni. In realtà, il Crocifisso, al di là della religione a cui appartiene, esercita una funzione simbolica altamente educativa. In quanto icona dell’amore supremo, evoca valori di pace e condivisione universale. Giustamente Natalia Ginzburg, comunista di origine ebraica, in un famoso articolo sull’Unità del 1988, dal titolo “Quella Croce rappresenta tutti”, sosteneva che “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione.
E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente”. Ma, a sinistra, evidentemente, non tutti la pensano in questo modo.
Secondo. L’attuale ministro dell’istruzione è convinto, da buon scienziato, che sia possibile una scuola fondata su una cultura neutra ed asettica, senza radici storiche concrete. Questa utopia, perseguita da altre nazioni, quali gli Stati Uniti e la Francia, ha prodotto svuotamento valoriale ed esistenziale.
Sia perché non esiste una cultura senza ancoramenti antropologici specifici.
Sia perché il problema della discriminazione non si risolve col nichilismo culturale ma col dialogo pluralista.
Luciano Verdone
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