Ha creato non poco scompiglio l’iniziativa parlamentare con cui i deputati del piccolo partito della sinistra indipendentista catalana, Erc, hanno chiesto al Governo spagnolo di applicare la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo: si tratta della famosa sentenza con cui ad inizio novembre la Corte di Strasburgo, cui si era rivolta una madre italiana, aveva condannato lo Stato italiano per la presenza del simbolo religioso nelle classi, giudicandola contrario al diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni e al diritto dei ragazzi alla libertà di religione.
Ora, dando seguito a questa interpretazione, peraltro approvata all’unanimità, in Spagna la proposta è stata promossa in Commissione parlamentare, con 20 voti contro 16, con il sostegno dei deputati del partito Socialista (Psoe) e dei galiziani del Bng. E non è servito a molto il voto contrario del principale partito di opposizione, il partito Popolare (destra). Dalla parte dei laici anche il ministro dell’Istruzione iberico, Angel Gabilondo, che ha dichiarato di vedere “di buono occhio la richiesta di una legge” che rispetti l’articolo 16 della Costituzione, che garantisce il carattere laico dello Stato spagnolo.
Di diverso avviso il presidente della Conferenza episcopale, Antonio Maria Rouco Varela, il quale si è rammaricato per la mozione, sottolineando di sperare che venga bloccata prima di dar vita a un progetto di legge: il ritiro dei crocifissi tornerebbe “a privare le famiglie e i bambini spagnoli delle scuole pubbliche – ha detto – di poter vedere il simbolo fondamentale e caratteristica della loro fede, fede che ha configurato la loro storia personale, quella della loro famiglia e del loro popolo“.
Anche in Italia la sentenza dei giudici di Strasburgo è stata contestata dalla Chiesa. E pure dal Governo, oltre che buona parte dell’opposizione. Tanto che il giorno dopo la sua divulgazione, il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha annunciato la ferma volontà di fare ricorso.
E “profonda preoccupazione” è giunta in questi giorni anche dal parlamento polacco, che ha accolto la risoluzione a stragrande maggioranza (tutti i gruppi parlamentari hanno votato a favore della risoluzione, con l’eccezione parziale degli ex-comunisti, i socialdemocratici di Sld): “il parlamento polacco – si legge nel documento dei parlamentari polacchi – è profondamente preoccupato per una decisione che contrasta con la libertà religiosa, ignorando il diritto e il sentire dei credenti“. La risoluzione, approvata dal Sejm, sottolinea come “la croce rappresenta non solo un simbolo religioso e il segno dell’amore di Dio verso l’uomo, ma nella sfera pubblica ricorda la devozione e il sacrificio per gli altri“. Il documento in conclusione ricorda anche che durante la dittatura nazista e comunista, gli atti contro la religione sono sempre stati legati ad azioni discriminanti che negano i diritti dell’uomo.