Dicevo e scrivevo un tempo (cinque sei anni fa: pare un secolo!) intorno alla scuola cose (nobili? ingenue?) in cui non credo più.
Che bisognava ad esempio, in qualche – non facile – modo, riconoscere in soldi e in carriera il merito degli insegnanti. Credo invece oggi che qualsiasi forma di incentivazione del nostro lavoro fondata sul cosiddetto merito non possa tradursi in altro, concretamente, che in una discriminazione o un’ingiustizia. Perché il merito di un insegnante può forse essere valutato ed apprezzato da qualcuno, ma non è, semplicemente, in alcun modo, misurabile. E siccome quelli che decidono dei nostri soldi e della nostra carriera non possono né vogliono valutare qualitativamente il talento professionale ed educativo di chicchessia, ma soltanto misurarne quantitativamente le prestazioni in termini di bruto risparmio per le casse dello stato e di sciocca soddisfazione del cliente, allora qualsiasi proposta di merit pay – avanzata che sia da destra o da sinistra – non può che nascondere una turlupinatura, un qualche ulteriore danno sposato all’immancabile beffa.