Come i nostri lettori più attenti già sanno, il 25 giugno prossimo, dalle ore 14,00 davanti Montecitorio una manifestazione di cittadini, docenti e ATA “saluterà” il passaggio dei Deputati invitandoli a fermare l’iter legislativo sulla regionalizzazione della Scuola (e non solo), dei cui effetti sulla vita dei docenti abbiamo più volte scritto. La manifestazione è appoggiata e organizzata dai Sindacati UNICOBAS e COBAS. Aderisce anche ANIEF.
La protesta fu avviata il 27 febbraio scorso con un primo sciopero indetto da UNICOBAS Scuola & Università (con adesione di ANIEF), seguito da un secondo sciopero il 17 maggio (indetto da UNICOBAS e COBAS, cui aderirono anche ANIEF, CUB SUR , SGB e persino i Dirigenti Scolastici dell’UDIR).
Alla manifestazione del 25 giugno parteciperà anche Pino Aprile, scrittore e giornalista (autore di molti saggi tra cui “Mai più terroni. La fine della questione meridionale”). Invece CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda — pur avendo precedentemente sottoscritto un documento di tutti i Sindacati italiani contro la regionalizzazione — non partecipano, essendosi accordati col Governo nella notte tra 23 e 24 aprile per la revoca del paventato sciopero generale del 17 maggio in cambio di molte promesse e con la prospettiva di un “federalismo cooperativo e solidale” (che COBAS e UNICOBAS bollano come espressione di una “regionalizzazione dell’amore” consona al cooperativismo dei grandi Sindacati).
I media mainstream quasi ne tacciono, ma nei corridoi del Palazzo la “secessione dei ricchi” procede (e non solo per la Scuola). Con conseguenti danni: anzitutto sulla tenuta sociale del Paese, come dimostra il recente battibecco tra il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e Attilio Fontana, Presidente della Lombardia.
L’Italia è un Paese composito: 13 secoli di divisioni (e di opportunistica sottomissione delle classi egemoni allo straniero) hanno reso difficile l’unificazione. La quale ancora, dopo 158 anni, risente dei precedenti sostrati etnici, linguistici, culturali; nonché del modo “colonialistico” con cui l’unificazione stessa fu consolidata. Il federalismo sarebbe stata una scelta giusta, efficace, efficiente, se attuata al momento dell’Unità (come avrebbe voluto il grande patriota milanese Carlo Cattaneo). Ora, invece, dopo sette generazioni di Italiani vissuti sotto uno Stato unitario (e centralista fino al 1948), la cosiddetta “autonomia differenziata” avrebbe l’effetto che gli stessi leghisti definiscono “big bang”.
Questa espressione, infatti, fu usata da Luca Zaia, “governatore” del Veneto, dopo il referendum consultivo del “Lombardo-Veneto” il 22 ottobre 2017: Zaia si riferiva all’inizio delle “riforme istituzionali” da lui auspicate; ma in realtà l’anglismo comunica l’idea della frantumazione dell’uno in molteplice. Che è poi quanto le Leghe hanno sempre auspicato fin dalla nascita, 40 anni fa. Un “big bang” estremamente deleterio non solo per la tenuta dello Stato, ma soprattutto per le condizioni di vita concrete della stragrande maggioranza degli Italiani.
Non va dimenticato, difatti, che l’”autonomia differenziata” darebbe ai governi regionali la parola definitiva su tutte le tematiche fondamentali che determinano il vivere quotidiano di decine di milioni di individui: la classe media e medio-bassa della popolazione, l’ossatura produttiva e contributiva del Paese. Non solo l’istruzione verrebbe controllata dalle oligarchie locali (che sul potere politico locale avrebbero finalmente mano libera); anche la sanità passerebbe sotto la loro vigilanza; così come il governo del territorio e dell’ambiente. Le Regioni avrebbero il potere di contrattare direttamente col MIT le facoltà d’intervento su concessioni ferroviarie e strade regionali; col Ministero dell’ambiente i riferimenti normativi tecnici per gestire i rifiuti pericolosi; con il MIUR i poteri sull’educazione degli adulti, ma anche quelli sugli Organi Collegiali della Scuola.
Cosa capiterebbe nelle regioni in cui più massiccia e radicata è la presenza delle mafie (le quali oggi più che mai, d’altronde, sono radicate anche al Nord)?
Gli storici gap tra Nord e Sud non potrebbero che accentuarsi. D’altronde, chi vuole la regionalizzazione lo sa benissimo (che anzi la voglia proprio per questo?). Infatti la proposta giunge in un momento storico in cui elevatissimi e diffusi sono in Italia l’analfabetismo funzionale, l’incapacità generalizzata di andar oltre l’apparenza delle notizie e la propaganda ufficiale, l’indifferenza ai valori ideali (eguaglianza e libertà in primis), la contrapposizione ideologica a priori, il campanilismo becero, la totale confusione tra giudizi di fatto e giudizi di valore (ossia quel fenomeno per cui non si considerano le idee, ma le etichette precedentemente affibbiate a chi le propugna).
Contro tutto ciò, martedì 25 giugno manifesteranno davanti alla Camera dei Deputati quanti temono che l’autonomia differenziata sia varata tra luglio e agosto, mentre l’Italia è distratta dal clima vacanziero, dal caldo tropicale e dalla disinformazione ufficiale (soprattutto su temi di fondamentale importanza per la vita concreta di tutti noi). Come troppe volte in passato è successo, specie in relazione alla Scuola.
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