Secondo il sindacato Anief, la decisione di rivedere le classi di concorso, riducendole, non è certo è una novità.
La bozza di revisione valutata positivamente oggi a Palazzo Chigi, rappresenta infatti almeno l’ottava versione. Tante sono quelle prodotte dall’amministrazione scolastica a seguito dell’introduzione della riforma Gelmini. Ma ha radici ben più lontane, visto che risale al 1999 un decreto con il Miur annunciava la necessità di far abilitare i docenti attraverso dei corsi di poche decine di ore in discipline attinenti con i loro studi universitari: un’iniziativa, che poi non andò in porto, ma che poggiava su necessità di mero contenimento della spesa pubblica. E non certo didattiche. Perché allargando il “ventaglio” di abilitazioni dei docenti, si sarebbero potuto meglio collocare i docenti in sovrannumero su spezzoni o cattedre vacanti.
“Il punto è capire se anche oggi, a distanza di tempo, il Governo abbia cercato di salvaguardare esclusivamente quel principio economico”, commenta Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal. “In attesa di conoscere la tabella degli accorpamenti, come sindacato riteniamo fondamentale che non siano state ritenute affini delle classi di concorso che non lo sono. Aver sostenuto uno o due esami all’università, infatti, non sempre comporta la padronanza di una disciplina: in questi casi sarebbe assicurato il danno agli studenti”.
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“Sarebbe poi opportuno – continua il presidente Anief – che, alla luce di queste abilitazioni allargate, nel regolamento che si sta delineando si precisi in modo chiaro che l’abbinamento dei docenti non ricada sulla figura monocratica del dirigente scolastico. Il quale, dopo aver avuto dalla Legge 107/2015 la facoltà di avere l’ultima parola sulla valutazione e sulla conferma dei docenti assunti tramite gli albi territoriali o incappati nella mobilità, spesso non avendo gli elementi conoscitivi, nemmeno minimi per farlo, avrebbe ora anche a disposizione un’ulteriore forma di potere: la possibilità di collocare i docenti, senza abilitazione o con abilitazioni non precipue, ma solo affini”.
“È bene che nelle linee generali del regolamento in via di definizione si indichi con chiarezza che siano i collegi dei docenti a rimanere sovrani sulla compatibilità degli insegnamenti e di andrà a ricoprirli. Sempre per non danneggiare gli stessi docenti, messi a disagio nell’insegnare materie di cui non sono padroni. E, soprattutto, gli studenti. Le cui esigenze – conclude Pacifico – non possono essere subordinate a quelle della spesa pubblica”.
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